UNA STORIA METROPOLITANA
- 20 giugno 2020 Cultura
Di Albertina Fancetti
Puntata diciannove
Martina visse le due settimane successive all’arresto di Michele in uno stato di grazia. Ansiosa di farsi perdonare dai suoi familiari per l'errore commesso, si dedicava allo studio anima e corpo ottenendo risultati molto positivi. Rimase comunque ancora isolata dalle compagne di scuola, temeva che fossero informate riguardo il suo coinvolgimento, seppure marginale, nella rapina alla tabaccheria e non si sentiva pronta ad affrontare i loro commenti. Monica continuava a ignorarla, era sempre circondata dall’elite della classe e non aveva alcun bisogno della sua compagnia.
I pomeriggi non le sembravano più tanto vuoti senza la presenza di Michele, si dedicò a rinnovare la sua stanza con l'aiuto della mamma, che tentava di starle vicino per riconquistare la sua fiducia e la stima del marito. Non sentiva alcuna necessità di uscire di casa, anzi l'idea d’incontrare qualcuno degli amici dei giardinetti le faceva quasi paura.
Riuscì a mantenere un sano equilibrio fino all'arrivo della prima lettera che Michele le scrisse dal carcere.
“Cara Martina, non puoi immaginare la mia disperazione nel trovarmi qui dentro, è davvero un inferno, sono in cella con tre delinquenti che mi tormentano e mi minacciano continuamente. Non credo proprio che potrò resistere ancora per molto e il pensiero di doverci passare almeno sei mesi mi fa impazzire, credo che mi impiccherò se l'avvocato non riuscirà a farmi concedere gli arresti domiciliari. Ho capito che la droga è una brutta bestia che mi ha rovinato, portandomi a fare cose orribili delle quali non ho saputo valutare le conseguenze e adesso la mia vita è distrutta. Sono certo che dopo quello che ho fatto non vorrai più stare con me e ti capisco, spero che i tuoi genitori non siano stati troppo duri con te, ma credo che abbiano capito che la colpa è stata soltanto mia. Ti sarò riconoscente se potrai almeno restarmi amica e aspetto con ansia di ricevere una tua lettera, se vorrai scrivermi, sarà per me l’unico raggio di sole che possa entrare nella mia cella.
Ti abbraccio forte, sempre tuo Michele”
Molto turbata, Martina la rilesse mille volte non trovandovi una sola parola di scuse per averla coinvolta in una situazione tanto pericolosa. Leggendo tra le righe, era evidente che Michele si chiamava fuori dalle sue responsabilità, dando la colpa alla droga come se fosse stata una malattia capitata per caso. Ancora una volta si riteneva una vittima per essere finito in una cella con dei delinquenti, come se nel carcere avesse potuto trovare una squadra di boy-scout, dimenticandosi di essere lui stesso un rapinatore, anche se fallito. Tuttavia, l’idea che potesse davvero arrivare a uccidersi la inquietava moltissimo, succedeva spesso di leggere sui giornali di giovani che si toglievano la vita nel carcere. Era difficile annullare il sentimento forte che l'aveva legata a lui per tanti mesi, anche se ora vedeva con chiarezza chi era veramente Michele: un ragazzo immaturo e troppo fragile per essere generoso e preoccuparsi davvero per lei. Tuttavia, l’affetto per quel cucciolo mai cresciuto non riusciva proprio a soffocarlo.
Era molto indecisa sul rispondere o meno alla sua lettera e per la prima volta decise di fidarsi dei suoi familiari, visto che avevano tutti cambiato atteggiamento nei suoi confronti e anche i fratelli sembravano più disponibili ad ascoltarla. Ne parlò quindi a tavola, durante la cena, alla quale era presente anche suo padre.
«Oggi ho ricevuto una lettera dal carcere, Michele mi ha scritto e vuole che io gli risponda… non so più che fare. Una parte di me vorrebbe dimenticarlo, ma non è facile, e poi il tono della sua lettera mi preoccupa molto».
Martina porse la lettera al padre perché la leggesse. Il signor Calvi la guardò con tenerezza, apprezzando il gesto di fiducia che sua figlia gli dimostrava, gli sembrò tanto giovane e indifesa, era come se volesse porre la sua vita nelle sue mani per essere guidata e protetta. Lesse attentamente la lettera constatando che la prima opinione sul ragazzo era stata purtroppo azzeccata, tuttavia si sforzò di non usare toni drastici per paura di rovinare quel rapporto di confidenza che stava instaurando con Martina.
«Penso che dovresti rispondergli, anche per chiarire i tuoi sentimenti e non dare luogo a false illusioni che gli farebbero solo del male e metterebbero te in pericolo. Sei mesi passano presto anche se per lui non la pensa così… Io non voglio infierire su quel ragazzo, ha indubbiamente sbagliato e adesso è giusto che paghi. Credo che dopo questa brutta esperienza, tu abbia capito quale sia la tua strada e non credo che lui possa ancora fare parte della tua vita, almeno lo spero…»
«Non ho alcuna intenzione di rimettermi con lui se è questo che temi, però non me la sento di abbandonarlo negandogli anche la mia amicizia. Quindi credo che gli scriverò, anche se sarò molto precisa riguardo al nostro futuro» rispose Martina.
«Fai come credi, solo ti prego non tagliarci più fuori dalla tua vita e tienici al corrente. Da parte nostra cercheremo di essere comprensivi e di aiutarti in caso di bisogno. Non è vero Carla?» aggiunse rivolgendosi alla moglie.
«Ma certo» rispose la signora Calvi, anche se l’espressione del suo viso rifletteva il turbamento per l’arrivo di quella lettera, che rappresentava la riapertura di un capitolo che aveva sperato di poter considerare chiuso definitivamente.
«Caro Michele, ho ricevuto la tua lettera e sono rimasta molto turbata da quanto mi scrivi. Spero tanto che tu possa trovare la forza di resistere nella penosa situazione in cui ti trovi, anche se ti devi rendere conto di esserne l'unico responsabile. Non accetto che tu dica che la tua vita è distrutta, sei ancora molto giovane. Sei mesi passano in fretta, anche se so che ti sembreranno un'eternità, ma vedrai che con un poco di buona volontà riuscirai a lasciarti questo brutto periodo alle spalle, dipende solo da te. Per me è stata ed è tuttora molto dura, sto cercando di riconquistare la stima e la fiducia dei miei genitori, che fortunatamente mi hanno dimostrato il loro affetto. A scuola sono molto isolata e sono rimasta senza amici, dato che è da escludere che io possa e nemmeno voglia, frequentare la tua compagnia o meglio quelli che ne sono rimasti. Per quanto riguarda il nostro rapporto, credo che le poche possibilità che esistevano di farlo funzionare ce le siamo giocate durante gli ultimi eventi, tu con la tua incoscienza e io con la mia stupida ingenuità. Ero convinta di poterti salvare e invece c'è mancato poco che non riuscissi più a salvare nemmeno me stessa. Non voglio quindi darti false speranze per il futuro, ma sappi che anche se il nostro amore deve finire, in me resterà sempre vivo il profondo affetto che ho per te e potrai comunque contare sulla mia amicizia. Nonostante tutti i casini che hai combinato io continuo a considerarti un ragazzo speciale, e proprio per questo non voglio sentirti più parlare di farla finita, ma vorrei che per una volta tu ti convincessi veramente a lottare per portare a galla le qualità che ci sono in te e che adesso, senza la droga, sarà il momento di mettere in gioco. Mi auguro che questa mia lettera ti porti un po’ di conforto e anch'io ti abbraccio con tutto il mio affetto, Martina».