ZANNA BIANCA
- 31 agosto 2019 Cultura

INCIPIT
La scura foresta d’abeti si addensava accigliata da ambo le parti sul corso d’acqua gelato; gli alberi, spogliati di recente dal vento del bianco rivestimento di brina, sembravano appoggiarsi gli uni agli altri, neri e sinistri, nella luce morente. Un silenzio profondo regnava su tutta la terra. La terra stessa era una desolazione, inanimata, immobile, così solitaria e gelida da non suggerire nemmeno l’idea della tristezza. C’era, in essa, quasi un accenno di riso, ma di un riso assai più terribile di qualunque tristezza: un riso privo di letizia come il sorriso della sfinge, un riso freddo come il gelo e partecipe del truce distacco dell’infallibilità. Era la saggezza sovrana e incomunicabile dell’eterno che si rideva della vanità della vita, degli sforzi della vita: era il selvaggio deserto del Settentrione, dal cuore di ghiaccio.
Ma la vita persisteva, proprio lì sulla terra, e la sfidava. Sul fiume gelido si trascinava una fila di cani lupo; l’ispida pelliccia era incrostata di ghiaccioli; il loro respiro si gelava in aria appena emesso, sgorgando in un vapore schiumoso che appena depositato sul pelo si materializzava in cristalli di brina.