IL RISORGERE DEL MALE 20

Newtown era la classica cittadina partorita da una mente innamorata dei personaggi Disney o traumatizzata da essi. Le case ricordavano come estetica e colore la caramellosità delle vignette componenti le storie di Topolino e Paperino. Era la messa in atto della finzione nel mondo del reale, la trasformazione in concreto della fantasia resa dolce da chi è solito usufruirne: bambini, o adulti-bambini, o persone dalla mente semplice. 
A differenza però delle vignette che danno l’illusione di una realtà parallela, il concretizzarsi della fantasia evocava un che mortificante, una tristezza profonda che nei disegni non si percepisce mai. Evidentemente, realtà e fantasia sono due mondi distinti e separati che mai devono incontrarsi. La città aveva anche alcuni hotel tutti della stessa catena, forma e colore. Parevano, come il colore rosso pompeiano delle case presenti rievocava, delle case cantoniere di quelle che ancora adesso si trovano in Europa, abitate da addetti alla sorveglianza e manutenzione di strade asfaltate o ferrate. Forse, chi ci alloggiava era adibito a sorvegliare le strade del mondo affinché fossero percorse dai giusti automezzi: panzer e battaglioni che garantissero l’asservimento di popoli giudicati inferiori e la supremazia di chi li sottometteva. 
Mi registrai al banco di uno degli alberghi presenti in città e salii al piano: il secondo, dove si trovava la camera assegnatami. Dalla finestra potevo godere del magnifico panorama che mi si offriva: una consistente parte di quella inconsistente città e, in lontananza, la campagna assolata e arida, desolata nella sua triste solitudine. Forse era dall’aridità che partiva l’eredità di chi nel passato aveva procurato sofferenza e morte. Il sogno-incubo di una razza che si considerasse superiore alle altre e che per questo si sentisse in diritto di sottomettere e sopprimere le altre razze, non era mai tramontato in certi popoli. Interessi economici e di casta uniti a ideologie aberranti avevano prodotto mostruosità di cui i nefasti influssi ancora facevano sentire il loro segno e sogno perverso. 
Riaccostai la tendina e sedetti sulla sponda del letto. Cosa stava succedendo in quella città-giocattolo che George Walkermann aveva fondato e sviluppato nel sogno Disney? Di ciò che il fratello di Gracida Lombain aveva detto avevo compreso, oltre al nome della sorella, soltanto due parole: Newtown e Adolph. Newtown ora sapevo cos’era. Adolph, sapevo cos’era stato. Dovevo scoprire cosa in quel luogo sarebbe successo, e per saperlo non mi restava altro da fare che uscire dall’albergo e guardarmi un po’ in giro. Cosa che feci di lì a poco. 
Uscii in strada e percorsi le varie strade e stradine lì presenti. Il centro abitato era una sorta di centro turistico che richiamava alla memoria un luogo di vacanze dalle caratteristiche costruzioni color biscotto, fitte di archi, ponticelli, lampioni a forma di steli terminanti con lampade a corolla le quali spandevano una luce gialla come la polpa di un melone maturo e calda come quella di una luna piena in una notte d’estate. Ma la notte attuale non era d’estate e non era luminosa come quando la luce proviene da una luna resa gialla per tutto il sole assorbito. Era, al contrario, buia come il buio della ragione e fredda come se il satellite dal quale la luce proviene fosse appunto una città-satellite edificata per scopi ben poco edificanti. A un’edicola vicina a una piazzetta acquistai il giornale locale, sperando di riuscire a saperne di più. In prima pagina si parlava dei fatti del giorno, della politica interna e internazionale, con commenti poco lusinghieri nei confronti dei politici filo-israeliani o filo-comunisti che venivano definiti feccia del mondo. Vignette dello stesso tenore vilipendevano gli stessi personaggi che negli articoli scritti erano già stati abbondantemente denigrati. Lo stile dei giornalisti che avevano confezionato i pezzi era generalmente buono, al contrario del loro animo che era ufficialmente cattivo. Se scrivessero queste cose per convinzione o per convenzione, non era dato sapere. E, del resto, aveva ben poca importanza. Importava invece che venissi a capo del bandolo della matassa che da giorni mi vedeva impegnato in quella indagine. 
In una delle pagine interne trovai la notizia che attendevo. Il giorno dopo, martedì sei giugno, all’auditorium di Newtown si sarebbe svolta una manifestazione organizzata dal gruppo dirigente del partito di Rinascita Umana, che avrebbe visto tra le sue file un personaggio che presto avrebbe assunto la guida del partito. Questo personaggio sarebbe stato una grande sorpresa per tutti, un’apparizione miracolosa venuta a illuminare le tenebre della nostra disgraziata epoca. La manifestazione avrebbe avuto luogo alle ore ventuno. Be’, credevo proprio che non sarei di certo mancato all’appuntamento. 
Presi a girare nuovamente per le vie della piccola città. A volte incrociavo alcuni poliziotti in divisa, una divisa ben poco simile a quella in uso da parte dei loro colleghi USA. Era costituita da una camicia marrone scuro e da pantaloni neri. Erano simili alle camicie brune di hitleriana memoria. Una memoria spesso scarsa riguardo gli orrori del passato.
Antonio Mecca