Kira 1
- 03 febbraio 2023 Racconti
In quel giorno di primavera, Villa Borghese riluceva ancora più del suo solito. Le sue piante erano di un verde intenso ed emanavano una fragranza che richiamava alla vita rinnovata e il canto degli uccelli faceva da colonna sonora al loro volo, spezzato, interrotto e ripreso ad arte di ramo in ramo, di albero in albero, di siepe in siepe.
L’uomo camminava tranquillo per il viale che porta all’orologio ad acqua progettato da un frate nella seconda metà dell’Ottocento, orologio spesso guasto ma che in quel momento sembrava funzionare alla perfezione. Fu allora che la vide: seduta a una panchina in legno dallo schienale semi arrotolato come la saracinesca di una scrivania semiaperta, lo sguardo come perduto verso un orizzonte che non era quello del film omonimo bensì quello dei ricordi accumulatisi nel suo cuore di ragazza, di giovane donna del Sud emigrata per lavoro.
Era una giovane donna di aspetto inequivocabilmente mediterraneo – nei capelli, neri e crespi; negli occhi, scuri e profondi e liquidi; nella bocca, simile a un roseo velluto di scrigno contenente un prezioso gioiello.
La sua caratteristica non era quella di sdegnare gli uomini che la guardavano, e questo talvolta poteva ingenerare equivoci che l’uomo non smette mai di provare. Perché l’uomo ci prova sempre, in una sorta di mantra continuamente riproposto. Così Andrea, che si trovava lì semplicemente per godersi la “bella giornata”, non poté fare a meno di fermarsi. Con il cuore che batteva a mille, disse:
- Buongiorno!
- Buongiorno – rispose lei senza punto esclamativo.
- Bella giornata, vero? – riprese il pover’uomo.
- Bella giornata – replicò la ragazza ma senza il punto interrogativo.
A lui sembrò che lei lo stesse prendendo garbatamente in giro, ma siccome se anche lo faceva non era con malizia, fu propenso a continuare a parlare a ruota libera, mentre lei ascoltava. Per quanto si possa non essere d’accordo, la donna rappresenta per l’uomo l’approdo sognato fin dall’adolescenza, il porto sicuro nel quale poter tirare i remi in barca per passare dall’acqua alla terra, e qui costruire un solido edificio dentro al quale vivere in coppia o in famiglia.
La ragazza emetteva piccole risate leggere e leggiadre come i suoi lievi sorrisi e lui si sentiva per questo ringalluzzirsi sempre più. A un certo punto le rivelò come si chiamava, per poi voler conoscere a propria volta il suo nome.
- Kira – fu la risposta di lei.
- Come…?
- Kira! – ripeté la ragazza sempre sorridendo.
Lui restò come interdetto.
- E’ la prima volta che sento un nome simile – confessò.
- E’ un nome russo – rivelò lei; - a mia madre piaceva.
- E ancora le piace?
- Non lo so. L’importante è che ancora le piaccia io.
- Pensavo fosse un nome arabo…
- No, no. E’ la derivazione dal nome Ciro.
Lui non seppe cosa dire e infatti non lo disse.
Il vento scuoteva le fronde dolcemente e la vita sembrava altrettanto dolce come il film omonimo. In quel luogo incantevole e incantato si poteva avere l’illusione d'incontrare qualche creatura fiabesca e ora che lui si trovava lì, davanti a lei, l’illusione era perfetta.
In quella città antica che viveva ancora del proprio glorioso passato, quella ragazza proveniente da una terra antica a sua volta ci si trovava bene. Era entrata anche lei nel cospicuo numero di meridionali emigrati a Roma, città orientale per eccellenza ma non per eccedenza, perché era solita accogliere tutti a braccia aperte. La sua vegetazione lussureggiante; i suoi bei palazzi umbertini e le piazze e le chiese barocche costellavano la città come gioielli preziosi il corpo esclusivo di una bella donna, ed erano una gioia per gli occhi e per il cuore. In quel luogo che in passato era stato frequentato da molti artisti, quasi tutti originari di altri luoghi e in gran parte provenienti dal Sud, se si aveva l’animo sensibile e una certa cultura non ci si sentiva mai del tutto soli anche quando lo si era.
Antonio Mecca
L’uomo camminava tranquillo per il viale che porta all’orologio ad acqua progettato da un frate nella seconda metà dell’Ottocento, orologio spesso guasto ma che in quel momento sembrava funzionare alla perfezione. Fu allora che la vide: seduta a una panchina in legno dallo schienale semi arrotolato come la saracinesca di una scrivania semiaperta, lo sguardo come perduto verso un orizzonte che non era quello del film omonimo bensì quello dei ricordi accumulatisi nel suo cuore di ragazza, di giovane donna del Sud emigrata per lavoro.
Era una giovane donna di aspetto inequivocabilmente mediterraneo – nei capelli, neri e crespi; negli occhi, scuri e profondi e liquidi; nella bocca, simile a un roseo velluto di scrigno contenente un prezioso gioiello.
La sua caratteristica non era quella di sdegnare gli uomini che la guardavano, e questo talvolta poteva ingenerare equivoci che l’uomo non smette mai di provare. Perché l’uomo ci prova sempre, in una sorta di mantra continuamente riproposto. Così Andrea, che si trovava lì semplicemente per godersi la “bella giornata”, non poté fare a meno di fermarsi. Con il cuore che batteva a mille, disse:
- Buongiorno!
- Buongiorno – rispose lei senza punto esclamativo.
- Bella giornata, vero? – riprese il pover’uomo.
- Bella giornata – replicò la ragazza ma senza il punto interrogativo.
A lui sembrò che lei lo stesse prendendo garbatamente in giro, ma siccome se anche lo faceva non era con malizia, fu propenso a continuare a parlare a ruota libera, mentre lei ascoltava. Per quanto si possa non essere d’accordo, la donna rappresenta per l’uomo l’approdo sognato fin dall’adolescenza, il porto sicuro nel quale poter tirare i remi in barca per passare dall’acqua alla terra, e qui costruire un solido edificio dentro al quale vivere in coppia o in famiglia.
La ragazza emetteva piccole risate leggere e leggiadre come i suoi lievi sorrisi e lui si sentiva per questo ringalluzzirsi sempre più. A un certo punto le rivelò come si chiamava, per poi voler conoscere a propria volta il suo nome.
- Kira – fu la risposta di lei.
- Come…?
- Kira! – ripeté la ragazza sempre sorridendo.
Lui restò come interdetto.
- E’ la prima volta che sento un nome simile – confessò.
- E’ un nome russo – rivelò lei; - a mia madre piaceva.
- E ancora le piace?
- Non lo so. L’importante è che ancora le piaccia io.
- Pensavo fosse un nome arabo…
- No, no. E’ la derivazione dal nome Ciro.
Lui non seppe cosa dire e infatti non lo disse.
Il vento scuoteva le fronde dolcemente e la vita sembrava altrettanto dolce come il film omonimo. In quel luogo incantevole e incantato si poteva avere l’illusione d'incontrare qualche creatura fiabesca e ora che lui si trovava lì, davanti a lei, l’illusione era perfetta.
In quella città antica che viveva ancora del proprio glorioso passato, quella ragazza proveniente da una terra antica a sua volta ci si trovava bene. Era entrata anche lei nel cospicuo numero di meridionali emigrati a Roma, città orientale per eccellenza ma non per eccedenza, perché era solita accogliere tutti a braccia aperte. La sua vegetazione lussureggiante; i suoi bei palazzi umbertini e le piazze e le chiese barocche costellavano la città come gioielli preziosi il corpo esclusivo di una bella donna, ed erano una gioia per gli occhi e per il cuore. In quel luogo che in passato era stato frequentato da molti artisti, quasi tutti originari di altri luoghi e in gran parte provenienti dal Sud, se si aveva l’animo sensibile e una certa cultura non ci si sentiva mai del tutto soli anche quando lo si era.
Antonio Mecca