La lezione autarchica impartita dal western italiano

Il viaggio in Spagna, dopo il flagello della pandemia, mi ha consentito di rivedere Valencia e Almeria. La prima, una grande e bella città - la seconda una città meno grande e meno bella ma pur sempre piacevole da visitare e presumibilmente da abitare. Somiglia molto: nelle vie principali, in quelle interne e nelle piazze a quelle città del nostro Sud che spesso comportano una impronta iberica perché come ben sai gli spagnoli sono stati fra i conquistatori del nostro Paese - Lombardia e Campania in primis. Nei dintorni di Almeria nel decennio degli anni Sessanta si sono girati gli esterni di centinaia di film western, perché la zona ben si prestava e tuttora si presta a una visualizzazione messicana cui le facce truci di attori del luogo (Fernando Sancho in testa) incarnavano alla perfezione la figura del cattivo hollywoodiano. I registi e gli sceneggiatori erano in prevalenza italiani, i primi: da Sergio Leone a Sergio Corbucci a Sergio Sollima e spesso italiani anche i secondi. Gli attori protagonisti erano anche loro solitamente italiani, provvisti di nome anglosassone d'arte. Poi provvedeva il doppiaggio a sistemare il tutto o quasi, tramite le splendide voci di Nando Gazzolo, Emilio Cigoli, Pino Locchi per gli uomini, e di Maria Pia Di Meo, Rita Savagnone, Lidia Simoneschi per le donne. 

I villaggi di Almeria sono due: Fort Bravo, e Mini Hollywood. Il primo è forse il più interessante grazie alla sua vastità, al numero di edifici rispecchianti quelli relativi alla seconda metà dell'Ottocento del West americano che hanno visto avvicendarsi scene di violenza a iosa, stragi e sfide celebri quali quella all'OK Corral, duelli nelle Main Street. Gli italiani prima e gli spagnoli poi potevano soltanto ricreare quello che gli americani avevano già proposto e ricreato da par loro mediante la loro arte cinematografica. Noi però nell'imitazione abbiamo saputo cogliere meglio di loro l'autentica violenza di quel mondo arcaico, rozzo e quantomeno stupido, fatto di grandi praterie e spazi squallidi, dove la solitudine è stretta parente della violenza che poi: a contatto della gente, può sfociare improvvisa. Se il western tradizionale ha saputo raccontare da par suo l'epopea del West, narrandola fino a tutti gli anni Cinquanta con toni caramellosi, a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta il cinismo e la violenza l'hanno fatta fatta da padroni in film capolavoro quali "Il mucchio selvaggio" e "Pat Garrett e Billy the Kid" di Sam Peckinpah, "Soldato Blu" di Ralph Nelson, "I cavalieri dalle lunghe ombre" di Walter Hill. Tutti titoli che devono perlomeno qualcosa alla lezione autarchica impartita dal western italiano, che ha saputo svelare la violenza e la corruzione insita in taluni personaggi, e che Quentin Tarantino ha ricalcato con onesta artigianalità E quando il ricalco di un ricalco è ben fatto, l'operazione risalta al suo meglio.   

Antonio Mecca