Avevano un linguaggio segreto, segni di
riconoscimento particolari, agivano nell’ombra per una buona causa: liberare
Milano dalla presenza austriaca. Erano donne colte, indipendenti, libere,
agiate, coraggiose che appartenevano alla Carboneria e invece che radunarsi
alle “vendite” (centri della Carboneria) si incontravano nei giardini. Ogni
raggruppamento, giardino formale o aiuola, era composto da nove donne e
dovevano superare un lungo periodo d’indagine per esserne inserite. Il motto
dell’apprendista era Costanza e Perseveranza e poi dopo un
lungo periodo di tirocinio diventava Onore e Virtù per avere
il titolo di “maestra giardiniera”. Era un livello impegnativo e le donne erano
autorizzate a portare un pugnale tra calza e giarrettiera. Segno di
riconoscimento era disegnare con la mano un semicerchio, toccandosi la spalla
sinistra poi quella destra e alla fine battere tre colpi sul cuore.
Cominciarono ad agire dopo il 1821 fino all’Unità d’Italia (1861) le loro vite
si intrecciarono con quelle degli uomini del Risorgimento Maroncelli, Silvio
Pellico, Confalonieri, Cavour, Mazzini, Carlo Alberto e diedero un contributo
importante nel cercare di risollevare le classi meno abbienti con
l’insegnamento secondo il metodo di Joseph Lancaster e Andrew Bell e crearono
salotti che furono luoghi di incontri intellettuali e politici.
Si chiamavano Bianca
Milesi, Maria Gambarana, Matilde Viscontini, Teresa Confalonieri, Clara Maffei,
Cristina Trivulzio Belgioioso. Quest’ultima giornalista, ricca ereditiera
elaborò il primo manifesto femminista dal titolo “Della presente condizione
delle donne e del loro avvenire”.
Racconta i sospiri, le vicissitudini, i
pregiudizi, le ansie, le contraddizioni dell’essere donna nell’Italia inquieta
del Risorgimento. Schiava ed appendice dell’uomo, senza cultura intellettuale,
etichettata con gli appellativi di leggerezza, volubilità, incostanza,
pieghevolezza mentre le donne, dice la Belgioioso, sono coraggiose, tenaci,
costanti, irremovibili nei loro propositi e vaticina l’evoluzione della società
italiana e la fine delle ingiustizie patite dalle donne. Conclude: “Vogliano le
donne felici ed onorate dei tempi avvenire rivolgere tratto il pensiero ai
dolori ed alle umiliazioni delle donne che le precedettero nella vita, e
ricordare con qualche gratitudine i nomi di quelle che loro apersero e
prepararono la via alla non mai prima goduta, forse appena sognata, felicità!”.
Lei
aveva sfidato tutte le convenzioni e aveva esercitato libertà ed eroismo in un
mondo che le riconosceva solo come virtù maschili.
Giusi De Roma