GREGORIO SCALISE
L’Italia è un paese che dimentica i suoi artisti quando sono ancora in vita, salvo poi fregiarsene una volta scomparsi.
Gregorio Scalise è un poeta che merita di essere ricordato. Nato a Catanzaro nel 1939, vive a Bologna e le sue poesie figurano in diverse antologie e riviste storiche - incluso nelle principali antologie del Novecento. Fin dall’esordio la sua scrittura è stata caratterizzata da un pensiero vigile e da un’ironia vitale, capace di rovesciare anche gli aspetti più duri dell’esistenza. Ha sempre vantato una pronuncia asciutta, senza sbavature, ma spinta al rischio e alla ricerca. Ha pubblicato le raccolte A capo (Geiger, Torino 1968), L’erba al suo erbario (Geiger, Torino 1969), Poemetti (in Quaderno collettivo 1, Guanda, Milano 1977), Dodici poesie (in Almanacco dello specchio, a cura di Marco Forti, Mondadori, Milano 1979), ma soprattutto l’indimenticabile La resistenza dell’aria (Mondadori, Milano 1982), Gli artisti (Lunario, Catania 1986), Danny Rose (Amadeus, Montebelluna 1989), Poesie dagli anni ‘90 (Orizzonti Meridionali, Catania 1997), La perfezione delle formule (Stampa, Varese 1999), Controcanti (Circolo degli artisti, Faenza 2001), Nell’ombra nel vento (Art, Bologna 2005), Nuovi Segni (in Almanacco dello specchio, Mondadori, Milano 2005), Opera-opera (poesie scelte 1968-2007, Sossella, Roma 2007) e Le parole non sono mai esatte (Arca Felice, Salerno 2014). Scegliamo due poesie esemplari, la prima delle quali dedicate al grande poeta arabo Adonis. Due testi provenienti da una raccolta (ancora per poco) inedita.
LA POESIA OCCIDENTALE (PER ADONIS)
Il sole divide un corpo
che disegna una sorgente,
le idee ritornano sulla terra assetata
ma non sono meno vere
per questo:
dopo Auschwitz ogni poema,
ogni albero compiuto
nel bosco di quel corpo occidentale
è una foglia
lacerata da proclami irridenti.
È vero, c’è un desiderio a volte nascosto
di fine:
la sintesi dai denti d’argento
taglia il nastro
della prima parola,
forse per questo
la luna è un rifugio.
Si credeva una volta
che le parole soffrissero per troppa frequenza,
ma neppure la sabbia è salvezza.
*
2. (Elegia d’inverno)
Guardando ( e soppesando) l’energia residua
di una giovinezza già usata
osare ed essere nella vertigine,
evocando movimenti
teatrali
le braccia, per esempio
o gli angoli
bisognosi di altri angoli e scrupoli
come quel verde invernale
sferzato
cosa capiti agli uomini
non lo sapremo mai
ragioni ragionate
come uva nel sottofondo
uomini che camminano nei secoli
senza provare vergogna.