Alberto Cavaliere, poeta, scrittore e soprattutto umorista.
- 09 luglio 2017 Cronaca
Ci fu un tempo in cui il cavaliere per antonomasia non aveva come nome Silvio bensì Alberto.
Alberto Cavaliere, nato a Cittanova, Calabria, il 19 ottobre 1897, poeta soprattutto e umorista specialmente, giornalista, romanziere, futuro politico senza futuro. Alberto comincia presto a farsi conoscere come poeta quando all'età di 12 anni viene espulso dal collegio a causa di una poesia che satireggiava i suoi professori. Successivamente si laureò in chimica all'università di Roma rispondendo in versi alle domande postegli all'esame di ammissione. Si trasferisce quindi a Milano, dove per poco tempo esercitò la professione di chimico, per poi dedicarsi alla satira in versi e al giornalismo. Durante il fascismo Cavaliere non monta sul cavallo che la dittatura per molti opportunisti rappresenterà, ma si iscrive invece al Pci clandestino. Essendo sposato con un'ebrea russa dalla quale aveva avuto due figli, considerati ebrei a causa delle leggi razziali, è costretto a 17 mesi di fuga e clandestinità. La suocera e la cognata saranno deportate ad Auschwitz. La cognata si salverà, e lui ne raccoglierà la testimonianza nel libro: "I campi della morte in Germania nel racconto di una sopravvissuta". Nel 1951 il PSI lo candida al consiglio comunale di Milano e due anni dopo alle politiche. In entrambi i casi ottiene voti di preferenza maggiori di tanti politici di professione, che già per il fatto di averne fatto una professione non generano di solito gran simpatia e fiducia nella massa degli elettori, e che magari meglio farebbero al bene del popolo a legarsi a un masso e a buttarsi in fondo al mare! La politica infatti è come la religione: chi ne fa una professione, perde inevitabilmente la sincerità e il candore iniziali. Sempre per il Psi, come deputato nella legislatura 1953-1958, nella circoscrizione Milano-Pavia, presenta interrogazioni parlamentari in versi che forse gli costeranno la ricandidatura, perché chi ha il dono dell'ironia difficilmente - e anche giustamente - può farne a meno. Nel frattempo collabora a giornali umoristici e non come "Il Travaso", "Marc' Aurelio", "Becco giallo", "La Domenica del Corriere", "Stampa Sera", "Il Gazzettino padano", giornale radiofonico della Lombardia per il quale Cavaliere produrrà molte poesie ispirategli dai fatti dell'attualità quotidiana, in genere bastandogli un'ora per comporle e quindi leggerle personalmente (era anche attore) ai microfoni della radio. A partire dal 1928, anno in cui viene pubblicato il suo libro "Chimica in versi", usciranno successivamente: "Storia di Roma in versi", "Da Cesare a Churchill (storia d'Inghilterra), "La storia di Milano in sesta rima" e i romanzi: "Quella villa è mia", "Le frontiere dell'impossibile", "Il megalomane", più un'antologia di poesie scritte per "Il Gazzettino padano" dal titolo: "Radiocronache rimate". Il 30 ottobre 1967, mentre si trova a San Remo, un'auto lo investe. Dapprima ricoverato nell'ospedale locale, quindi trasportato in un ospedale di Milano, muore la mattina del 7 novembre dopo una notte passata in rianimazione, all'età di 70 anni. Il suo destino finale sarà simile a quello di Margaret Mitchell, l'autrice di "Via col vento", investita nel 1949 da un tassista ubriaco che morirà dopo cinque giorni di coma. Margaret, la cui seconda parte del proprio nome sembrerebbe essere servita per dare il nome al protagonista maschile Rhett, se fosse sopravvissuta avrebbe forse dato un seguito alle vicende di Scarlett-Rossella e Rhett Butler. Se fosse sopravvissuto anche Alberto Cavaliere, di sicuro ci sarebbero stati molti altri versi e rime da dedicare al nostro Paese e ai suoi protagonisti, i quali ci fanno spesso cadere riversi per ciò che combinano e ai quali dovremmo sempre rispondere per le rime. Ma ben pochi hanno il talento del poeta - scrittore calabro-lombardo, che a passeggio una sera per le vie di Milano lesse degli insulti scritti con vernice su case abitate da meridionali. Tornato nella propria abitazione scrisse una poesia che il giorno dopo venne letta dalla radio per la quale collaborava, e che fra i suoi versi diceva: "Molti intanto non voglion capire / che sian nati a Palermo o a Vercelli, / gl'italiani son tutti fratelli, / assiepati fra l'Alpi ed il mar. / Perché dunque insultare il terrone? Perché dunque dobbiamo dolerci / se, in mancanza di industrie e commerci, / egli ha vinto un concorso statal, / o se in cerca di un povero pane /è qui giunto dal suolo natal?"
Antonio Mecca