“Sussidiarietà” e… Comune

Sussidiarietà: talvolta se ne sente parlare, ma che cosa sia chi lo sa? Con l’Enciclica “Quadragesimo Anno” del 1931, papa Pio XI°, nel punto intitolato “Riforma delle istituzioni”, al numero 80 affermava: È vero certamente e ben dimostrato dalla storia che, per la mutazione delle circostanze, molte cose non si possono più compiere se non da grandi associazioni, laddove prima si eseguivano anche delle piccole.

Ma deve tuttavia restare saldo il principio importantissimo nella filosofa sociale: che siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. 
Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle.
E al numero 81 proseguiva: Perciò è necessario che l’autorità suprema dello Stato rimetta ad associazioni minori e inferiori il disbrigo degli affari e delle cure di minor momento, dalle quali essa del resto sarebbe più che mai distratta; e allora essa potrà eseguire con più libertà, con più forza ed efficacia le parti che a lei solo spettano, perché essa sola può compierle; di direzione cioè, di vigilanza, d’incitamento, di repressione, a seconda dei casi e delle necessità. 
Si persuadano dunque fermamente gli uomini di governo, che quanto più perfettamente sarà mantenuto l’ordine gerarchico tra le diverse associazioni, conforme al principio della funzione suppletiva dell’attività sociale, tanto più forte riuscirà l’autorità e la potenza sociale, e perciò anche più felice e più prospera la condizione dello Stato stesso. 
Tutto ciò, mentre al numero 79 aveva precedentemente affermato: E quando parliamo di riforma delle istituzioni, pensiamo primieramente allo Stato, non perché dall’opera sua si debba aspettare tutta la salvezza, ma perché, per il vizio dell’individualismo, come abbiamo detto, le cose si trovano ridotte a tal punto, che abbattuta e quasi estinta l’antica ricca forma di vita sociale, svoltasi un tempo mediante un complesso di associazioni diverse, restano di fronte quasi soli gli individui e lo Stato. 
E siffatta deformazione dell’ordine sociale reca non piccolo danno allo Stato medesimo, sul quale vengono a ricadere tutti i pesi, che quelle distrutte corporazioni non possono più portare, onde si trova oppresso da una infinità di carichi e di affari. 
Ma, allora, perché il Comune (nelle varie amministrazioni susseguitesi dal 1969 a oggi) continua a non cedere ai Consigli di zona le competenze per la soluzione dei problemi di quartiere? 

Walter Cherubini
Centro studi ConMilanoOvest-CPM

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