BENEDETTA
- 31 dicembre 2020 Cultura

Gli portava sempre una rosa, una rosa soltanto; ma sempre molto bella perché sempre scelta con cura, con tutto l'amore che provava per lui. In quel piccolo cimitero umbro, dove riposava ormai da decenni. Stava lì ferma per un po', a parlargli sottovoce ma pur sempre con la voce, perché fare uscire i propri pensieri invece di macerarli dentro di sé, rappresenta pur sempre un sollievo innanzitutto per chi parla. Osservava la foto del padre, l'immagine di un uomo ancora giovane dal volto rubicondo, gli occhi intelligenti che trasmettevano seppur mitigato dalla sua educazione il sapere. Il profumo delle piante presenti, scosse spesso dalla brezza, era un po' come una dolce carezza paterna che le scompigliava i capelli con affetto. Le sembrava di ricordarsele, quelle carezze, sebbene non ne fosse sicura. Perché aveva avuto solo tre anni quando lui: che ne aveva solo 33, era caduto sotto il piombo delle armi di criminali che nulla avevano di umano. Sapendo che lui amava il mare d'inverno, quando poteva ci andava a sua volta, sola, arrivando sulla spiaggia deserta e fermandosi in riva al mare. Il rumore delle onde che si frangevano sulla battigia, il loro andare e tornare di continuo, come una spatola cardatrice che rinvigorisce la lana, per poi imbottire il materasso e consentire a chi lo occuperà di riposare per il meglio. E lei in quei momenti era come se riposasse, perché i propri pensieri quasi decantavano alla vista e al suono dell'acqua marina. Si ricordava a volte di una splendida canzone di Santana: "Aqua marine", appunto, composta di sola musica, dove il suono delle maracas evocava quello della sabbia che scivola tra le dita, quasi quella della clessidra della vita improvvisamente frantumatasi. Quel continuo rumore che le onde producevano nel silenzio circostante erano come l'avvio di un motore che da sempre e per sempre stenta a partire, il motore di una grande macchina dai misteriosi ingranaggi. Le deboli luci che si intravedevano sulla costa lontana erano puntolini luminosi simili a suture di ferite non ancora del tutto rimarginate. Come la sua, che mai si sarebbe rimarginata. Perché a lei, bambina e poi ragazza era stato negato l'amore paterno, il quale per una donna rappresenta pressoché il tutto. Quante cose si sarebbero potute dire, quante altre ascoltare, quanti abbracci negati, così come il calore da essi prodotti. Ora che era diventata più vecchia di quanto lui mai era stato, perché ucciso a 33 anni come Gesù Cristo sul legno della croce, mentre lui era caduto a terra sull'asfalto della strada, Benedetta provava per lui quasi un affetto materno. Era un po' come il figlio che mai aveva avuto, e che il suo amore di femmina aveva generato. Quel vuoto che però la colmava fin dalla più tenera età restava sempre al suo posto, allargandosi anzi man mano che il tempo trascorreva. Il profumo salmastro del mare penetrava nei suoi polmoni, le lacrime altrettanto salate le coprivano i begli occhi scuri per poi scivolare giù lungo le guance, come tratti di penna di un inchiostro invisibile allo sguardo altrui perché i pensieri erano avvolti dal pudore. Chiudeva allora gli occhi, nella speranza che nel riaprirli lui si sarebbe materializzato; anche per un istante soltanto. E a volte gli pareva quasi di percepirne la presenza, in quell'assenza così intensa. Poi riapriva gli occhi, non trovava accanto nessuno, e riprendeva a piangere. Ma era quello un pianto liberatorio, nel quale lo sguardo appannato finiva per vedere ciò che voleva vedere, o intravedere, tra cui anche il padre Walter.
Antonio Mecca