Il dibattito sulla Spesa pubblica sanitaria
- 31 dicembre 2020 Cultura

Dopo tante polemiche, sovente fuorvianti, sui tagli che sarebbero stati apportati negli ultimi 20 anni alla spesa sanitaria, qualcosa di concreto basato sui “numeri” è stato pubblicato sul blog della Fondazione “Anna Kuliscioff” in due note parallele a cura del presidente della Commissione Finanze e Tesoro della Camera, L. Marattin e di S. Negro, un economista vicino alla Fondazione stessa. I due autori hanno aperto un salutare dibattito in una materia abbastanza abusata, che, specie in questo periodo, presenta un'importanza cruciale per il nostro Paese. Le loro analisi, ancorate a un’esauriente messe di dati sull’evoluzione della spesa pubblica nella funzione sanitaria, giungono alla considerazione di fondo che le risorse pubbliche stanziate nel periodo 2000-2020 per il SSN non sono state affatto tagliate, ma sono cresciute dell’80% circa in termini monetari e del 30% circa in termini reali, mostrando un andamento complessivo spezzato in due tronconi ben distinti: un aumento di circa il 3% medio annuo in termini reali nel primo decennio e una sostanziale stagnazione nel decennio a noi più vicino. Su questa base, i due elaborati focalizzano una tesi di fondo degna di particolare attenzione, secondo cui le evidenti disfunzioni del nostro SSN, non dipendono esclusivamente, come vuole la vulgata, dai tagli subiti dalla relativa spesa (che in effetti non ci sono stati), quanto piuttosto dall’inefficiente allocazione della stessa nella funzione. Ai fini di un necessario miglioramento del Servizio Sanitario Nazionale, puntualizzano gli autori, è molto importante rilevare che di dette disfunzioni sono chiamate a rispondere in primo luogo le Amministrazioni regionali, a cui la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 ha assegnato la maggior parte delle competenze in materia sanitaria. Queste considerazioni risultano del tutto appropriate ai fini dell'apertura di un dibattito sulla nostra Sanità fondato sulla realtà dei dati, tra i quali l'aumento nominale e reale nella spesa sanitaria era già noto agli economisti, ma non al grande pubblico. L'andamento crescente delle risorse stanziate e la focalizzazione sulla mancata efficienza allocativa delle medesime, non devono, però, lasciar passare l’involontario messaggio subliminale di un livello sufficiente di spesa pubblica nella Sanità. Non va opportunamente sottaciuta la circostanza che, nonostante la sua crescita nel primo decennio e la sua dispersiva allocazione, il volume della stessa rimane su un livello di netta insufficienza rispetto ai bisogni della popolazione. E richiederà negli anni a venire un graduale adeguamento alla situazione in divenire che, in assenza di intervento, si prospetta molto problematica per l'utenza sanitaria. Di detta esigenza sono testimoni molteplici evidenze empiriche, la prima delle quali riguarda le lunghe file di attesa per i ricoveri, le analisi, il pronto soccorso ecc., rimaste immutate, se non accresciute, negli ultimi 20 anni, malgrado l'aumento della relativa spesa sanitaria pubblica in termini monetari e reali. Che ciò sia attribuibile esclusivamente all'aumento dell’inefficienza allocativa è, se non altro, poco realistico, dal momento che, sul piano della mera efficienza della spesa, la Sanità italiana occupava i primi posti nel ranking mondiale, sia nel 2000 (v. classifica M De Bac sul “Corriere della Sera” del 20/06/2000), sia nel 2014 (v. classifica Bloomberg in “Il Sole-24 ore” del 7/10/2014). La stentata soddisfazione dei bisogni primari della popolazione va di pari passo con il minore livello di risorse che l'Italia stanzia da decenni rispetto alla media dei Paesi europei; e non può, dunque, essere attribuita interamente a un’allocazione inefficace della spesa (che pure v’è stata). Gli argomenti accennati dimostrano, in effetti, che l’insoddisfacente efficacia dipende anche dal livello della spesa sanitaria pubblica, insufficiente rispetto ai bisogni di una popolazione che ha subìto negli ultimi 30 anni un rapido e costante invecchiamento. Molti altri aspetti, in gran parte evocati nelle analisi delle due note in discorso, sono da tener presenti ai fini delle necessarie riflessioni nella materia, tra i quali non va trascurato il divario cui si è accennato tra l'Italia e i grandi Paesi europei nel rapporto tra la spesa sanitaria e il PIL (in Italia 8,5% , contro il 9,9% della media europea) e nella differenza della quota a carico degli utenti (in Italia 22,9%, contro il 16,7% della media europea - v. EUROSTAT, rapporto sulla sanità europea del 17/09/2019). In conclusione, appare quanto mai opportuno che, parallelamente alla riflessione su una migliore allocazione delle risorse sanitarie (che chiama in causa anche l'eccessiva decentralizzazione regionale decretata dalla Riforma del Titolo V della Costituzione), la spesa sanitaria pubblica nei prossimi anni ricominci a crescere almeno allo stesso ritmo del primo decennio degli anni 2000. In realtà, per avvicinare gradualmente il nostro livello di spesa pubblica sanitaria pro-capite a quello dei principali Paesi europei, (attualmente il divario si situa intorno al 25-30%), sarà necessario nei prossimi 5 anni far lievitare detto aggregato ad un tasso annuale medio intorno al 3% in termini reali.
Prof. Franco Cavallari