È ORA, FRATELLO 14 - di Yari Lepre Marrani

Innanzi a me si ergeva il palco della morte, il palo della ruota e la ruota stessa, con i suoi infernali raggi, sembrava guardarmi in attesa che mi spaccassero le ossa e mi c’infilassero in essa al ludibrio generale della folla. Il mio corpo ancora viveva ma in verità ero già morto, non connettevo più, ero un pezzo di carne da macello prona ai voleri del carnefice. Vidi un uomo alla mia sinistra con un rotolo di carta in mano che invitava quelli sul palco a sbrigarsi. Prima che il boia mi slegasse scambiò con lui due parole e io guardavo il palco: nani e uomini stavano spostando la ruota per inserirla nel palo nero. La pioggia veemente rese quella scena ancor più atroce ed il tetro lucore dei fulmini impazzava continuo quasi ad informare la piazza del mio patibolo con la sua sinfonia. Il boia slegò tutti e 3 i miei lacci e con inaudita brutalità mi scaraventò giù dal carro. Quando fui a terra tutto mi parve offuscato, tutto tremolava al mio sguardo, vedevo ombre che si muovevano, udivo grida e lo stridore della ruota che girava. Ma ancora ero cosciente, ahimè! Qualcuno mi diede un forte calcio alla schiena che per poco non mi uccise, lì dov’ero. La mia faccia era immersa nel fango, sotto la pioggia scrosciante, quando mi sollevarono in piedi, uomini e nani, e mi condussero accanto al palco innanzi all’uomo con quella sorta di papiro arrotolato tra le mani. Quest’ultimo mi fissò a lungo quando tornai in piedi mentre il boia era già salito sul palco; due uomini mi tenevano strettamente per le braccia e due nani dall’orrida faccia per le gambe, innanzi a lui. L’uomo  aprì il suo papiro e lesse: “Oggi, giorno del Signore, la legge di questo Stato ti ha condannato a morte mediante il supplizio della ruota. Ti saranno spaccate tutte le ossa principali con essa ed il tuo corpo intrecciato ai suoi raggi e la ruota sarà posta in alto ed il tuo corpo esposto alla folla e ai corvi finchè morte non sopraggiunga. Hai qualcosa da dire prima che la condanna a morte sia resa esecutiva?!” , mi limitai a fissarlo diritto negli occhi biechi senza proferire sillaba quando udii la ruota ferrata venir issata sul palo e ad esso ben fissata. “Il condannato non ha nulla da dire, come sembra. Dunque si dia formalmente esecuzione alla sentenza” disse l’uomo e girò lo sguardo verso il boia sul palco, “Bene. Sig. Procuste proceda con l’esecuzione”. Ad un mio timido tentativo di ribellarmi, involontaria reazione del mio corpo che più non ragionava né pensava, i due uomini e i due nani mi spogliarono con estrema brutalità strappandomi da dosso il mio saio bianco inzuppato d’acqua e lasciandomi completamente nudo innanzi al gelo di quella mattina, alla pioggia cadente, al vento tenace, sinistro, sibilante che annunciava alla natura la mia fine. Era la mia apocalisse ed ero lì, sul punto di crepare con il terribile supplizio appena declamato, senza sapere il perché.  Ma cosa importava ormai? Mentre quei diavoli facevano girare la ruota issata sul palo, nani e uomini mi presero per le gambe e le braccia come un salame e mi sdraiarono violentemente sul palco a pancia in su, sotto la pioggia torrenziale, senza alcuna pietà. A breve mi avrebbero spaccato le ossa, com’è costume nel supplizio della ruota e, forse, intrecciatomi ad essa, avrebbero inasprito la tortura facendola girare per provocarmi spasmi e vomiti e accelerare la mia morte. Calò un improvviso silenzio sulla piazza, tutti si fermarono, la pioggia diminuì d’intensità. “Avanti Sig. Procuste, proceda senza più alcun indugio!!” gridò l’uomo del papiro, dal basso. Udii rumori metallici, stridore di ferri, batter di martelli e, girandomi verso destra, riuscii a scrutarne l’origine: il boia stava scegliendo tra i suoi arnesi il martello più adatto. E lo vidi tirar su un pesante mazzapicchio argentato di quelli usati nel medioevo e con esso avvicinarsi a una superficie d’acciaio e colpirla con tutta la forza che aveva in corpo. SI udì il violentissimo colpo, l’acciaio della piastra fu piegato. Il boia si rivolse a me. Una lacrima scese sul mio volto: era la fine, il mio corpo stava per soffrire, soffrire atrocemente. Prima che il boia si avvicinasse mirai il cielo livido e mentalmente lo maledii per quanto mi aveva riservato. Ed ecco il cappuccio del boia incombere sopra di me disteso a terra e agitare il mazzapicchio con vigore ed energia. 

continua

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