GITA AL FARO - Virginia Woolf

Ogni mattina alle ore 08:00 proponiamo ai nostri lettori la parte iniziale e finale di un capolavoro della letteratura universale. A cura di Antonella Di Vincenzo

INCIPIT

«Sì, certo, se domani fa bel tempo» disse la signora Ramsay. «Però dovrai essere in piedi con l'allodola» aggiunse. A suo figlio queste parole comunicarono una gioia straordinaria, come se fosse stabilito che la spedizione avrebbe avuto luogo senz'altro, e l'incanto cui aveva agognato, per anni e anni gli pareva, fosse, dopo il buio di una notte e la traversata di un giorno, a portata di mano. Egli apparteneva, già all'età di sei anni, a quella grande categoria di persone che non riescono a tenere le emozioni separate le une dalle altre, ma lasciano che le prospettive future, con le loro gioie e dolori, annebbino ciò che effettivamente è, perché per tali persone fin dalla prima infanzia qualsiasi oscillazione della ruota delle sensazioni ha il potere di cristallizzare e trafiggere il momento dal quale dipendono la tristezza o la radiosità. Così James Ramsay, seduto sul pavimento a ritagliare le figure del catalogo illustrato dei Magazzini dell'Esercito e della Marina, quando sua madre parlò, sulla figura di un frigorifero riversò beatitudine paradisiaca. Era contornata di gioia. La carriola, la falciatrice, la musica dei pioppi, foglie biancheggianti prima della pioggia, cornacchie gracchianti, ginestre sbatacchianti, vestiti frusciami: tutto era così nitido e colorato nella sua mente che egli aveva già il suo codice privato, la sua lingua segreta, anche se appariva il ritratto del rigore assoluto e incorruttibile, con la fronte alta e gli occhi blu fieri, perfettamente candidi e puri, leggermente accigliati al cospetto dell'umana fragilità, tanto che sua madre, osservandolo mentre guidava le forbici con precisione intorno al frigorifero, lo immaginò in una Corte vestito di porpora ed ermellino oppure alla guida di un'impresa complessa e decisiva in qualche crisi della vita pubblica.



FINIS

«È approdato» disse ad alta voce. «E finita.» Poi, alzandosi, leggermente ansante, il vecchio signor Carmichael le andò accanto, simile a un antico Dio pagano, irsuto, con le alghe tra i capelli e il tridente (era solo un romanzo francese) in mano. La raggiunse sul margine del prato, un pò dondolante nel corpo massiccio, e disse, facendosi schermo agli occhi con la mano: «Saranno approdati», e lei capì di aver avuto ragione. Non avevamo avuto bisogno di parlare. Avevano pensato le stesse cose e lui le aveva risposto senza che lei gli avesse chiesto niente. Lui era là, con le mani stese su tutte le debolezze e le sofferenze dell'umanità; lei pensò che esaminasse con tolleranza e compassione il loro destino finale. Ora ha coronato l'evento, pensò, quando la mano gli ricadde giù lenta, come se l'avesse visto lasciar cadere da quella sua grande altezza una corona di viole e asfodeli che, volteggiando lenti, alla fine si posavano a terra. In fretta, come se qualcosa la chiamasse là, si volse verso la sua tela. Eccolo lì — il suo quadro. Sì, con tutti i verdi e blu, le linee che correvano in alto e da una parte all'altra, il tentativo di qualcosa. L'avrebbero appeso in soffitta, pensò; sarebbe stato distrutto. Ma che cosa importava? si chiese, riprendendo il pennello. Guardò i gradini; erano vuoti; guardò la tela; era una macchia indistinta. Con intensità improvvisa, come se vedesse chiaro per un attimo, tracciò una linea là, al centro. Era fatto; era finito. Sì, pensò, posando il pennello sfinita, ho avuto la mia visione.



L'INGLESE CANTANDO

Milano in Giallo

di Albertina Fancetti, Franco Mercoli, Alighiero Nonnis, Mario Pace
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