I DUBBI DI DEBBIE 8

- Alessandra, volevo parlarti a proposito di Jane Anders.

- Siedi, Paolo. Posso offrirti un caffè?

Paolo, che conosceva il sapore di quei caffè aziendali, se ne astenne.

- No, Alessandra, ti ringrazio. Dunque, per tornare a Jane Anders, come probabilmente già saprai è giunta a Milano ieri, e Debbie è andata all'aeroporto ad accoglierla, dopodiché l’ha accompagnata in giro per la città.

A un certo punto Jane le ha fatto una confessione: che è quella che sta per perdere la voce.

Alessandra non disse nulla, quasi che la voce lei la avesse già persa. Soprattutto la voce in capitolo, che quella era da augurarselo eccome! Paolo continuò.

- Lei ha finito di lavorare nella Tv americana, e non potrà più riprendere proprio per questo motivo.

Ha pensato quindi di riprendere la sua carriera in Italia, poiché sa che qui da noi spesso gli attori vengono doppiati.

- Quelli stranieri, però. Quelli italiani sempre meno e mai quelli che lavorano nelle serie della Tv.

- Sì, lo so.

- Io ti sto solo riferendo quello che lei ha detto a mia moglie.

Alessandra Minieri tacque per qualche secondo, per poi riprendere.

- La sua partecipazione in qualche nostro programma è fattibile, ma un suo impiego diverso è invece difficile, perché dovremmo doppiarla e la differenza tra le voci in presa diretta e la sua proveniente da un'altra fonte si avvertirebbe.

Paolo non disse nulla, aspettando che lei continuasse e rispettando il suo pensiero.

- Va bene, Paolo; per intanto la riceverò - disse infine. - Poi, staremo a vedere.

Fu così che Jane Anders venne ricevuta dalla capostruttura della Tv dei ragazzi della maggiore Tv privata italiana, e da lì Alessandra si convinse che la cosa si poteva fare. La partecipazione della giovane diva americana avrebbe portato una grande pubblicità all’emittente, al programma che le si sarebbe cucito addosso nonché a lei: Alessandra Minieri, che tramite interviste e articoli da lei stessa scritti avrebbe contribuito ad alimentare il proprio dominio e predominio nella rete in cui ormai da diversi anni imperava e prosperava. E fu così che la cosa partì. Incaricati dei bravi sceneggiatori di stendere l’idea di una nuova serie, si passò poi alla stesura delle sceneggiature, che vennero provate in studio con lei: Alessandra, spesso presente. Jane parlava un italiano maccheronico, ma la voce di Debora si sovrapponeva naturalmente alla sua, in una simbiosi sempre più autorevolmente perfetta. Debbie se ne stava in un angolo dello studio, davanti a un monitor a colori che trasmetteva le inquadrature fatte alla ragazza. Con il microfono sull’asta, seduta e con in mano il copione, le cuffie sulle orecchie, la ragazza ascoltava al minimo la voce di Jane, e a volume normale quella degli altri attori. Il risultato ottenuto fu decisamente buono, e la Zarina Alessandra concesse il suo placet. 


L’attrice americana di lì a poco acquistò un’auto italiana con la quale poter raggiungere gli studi televisivi dove lavorava. La serie Tv venne trasmessa di lì a un mese dall’arrivo di Jane in Italia, ed ottenne un notevole successo di pubblico, inversamente proporzionale allo scarso interesse della critica televisiva.

La notorietà acquisita in America, la bravura di attrice, la bellezza e simpatia nonché la carica vitale della ragazza rappresentarono elementi vincenti che portarono al successo anche da noi lei e la serie di cui era protagonista. I rapporti con i colleghi italiani furono da subito ottimi e tali restarono per tutto il tempo: tre mesi, che la serie andò avanti. Visto il grande successo ottenuto si decise di realizzare una seconda serie, per la quale l’attrice americana firmò il contratto. Dopodiché ripartì per l’America, dove sarebbe rimasta due mesi. Ad accompagnarla: all’aeroporto e nel viaggio per Los Angeles fu Debora, su invito di Jane che voleva contraccambiare l’enorme favore ottenuto grazie alla sua amica italiana. Intendeva farle visitare i luoghi clou di Los Angeles e della California meridionale: Santa Monica, Santa Barbara, San Diego, Malibu. E Hollywood, naturalmente, Disneyland, ovviamente, Palm Springs, decisamente. Debora, che in California non ci era mai stata, accettò con gioia, anche perché voleva stare con l’amica americana il più possibile. L’infatuazione che l’aveva colta molti mesi prima ancora non si era spenta, anzi: con la frequentazione di persona era andata aumentando. Le sembrava, parlandole e ascoltandola parlare, di avere a che fare con la se stessa di molti anni addietro, per cui la passione non era andata scemando. Anzi: sembrava quasi che fra le due si fosse instaurata una intimità difficilmente separabile. 

Il viaggio, lunghissimo, si svolse bene, tra chiacchiere tipiche di ragazze, dove il futile e il dilettevole si mescolavano alla serietà e a una certa dose di tristezza, di consapevolezza che una mente ormai matura non può fare a meno di mettere in mostra. Perlomeno di tanto in tanto. Quindi, l’arrivo nella mitica città degli angeli, in uno degli aeroporti più grandi del mondo. Jane si recò all’autonoleggio dove affittò una Ford color pesca. Poi si mise al volante, con Debbie accanto. Lasciarono l’aeroporto per imboccare una Freeway trafficata ma il cui traffico scorreva fluido.

- Sei contenta di essere nuovamente a casa? – le domandò Debbie con voce intensa.

- Certo. Ma in Italia ci ho lasciato il cuore, perché mi ci sono trovata splendidamente.

- Hai riscosso un ottimo successo, in effetti, per cui devi tornare.

- Non è solo questo - disse lei, - ma anche e soprattutto la bellezza dei luoghi e della natura e della gente.

Quando erano di riposo, le due ragazze erano andate in giro per Milano e dintorni, oppure spingendosi anche molto più lontano, fino a raggiungere Venezia, Firenze, Roma, Napoli. E ogni volta era stata, da parte dell’americana, tutta una serie di “Wow!, Wonderful!, Very beutiful!”


Luoghi così in America se li sognavano. Ma era pur vero che anche l’America, per un europeo, rappresentava un sogno, un sogno che si sperava di poter concretizzare nel corso della vita.

Recarcisi cioè per un soggiorno più o meno lungo durante il quale visitare il più possibile. Anche per Debbie era stato così, e adesso che si trovava lì, in California, vale a dire nel centro nevralgico degli Stati Uniti, non stava più nella pelle. Un po’ come una vipera che aveva mutato pelle, avrebbe detto una collega maligna, sebbene Debora non fosse certo una vipera bensì tutt’altro. La sua bontà, generosità, simpatia la rendevano adorabile alla maggior parte dei suoi conoscenti.

- Siamo quasi arrivati – annunciò Jane sorridendo. – Spero che la mia casa ti piacerà.

- Ne sono sicura, Jane. Perché mi piaci tu, e non potrebbe non piacermi anche tutto ciò che piace a te.

Jane si limitò a sorridere. Di lì a poco si palesò un cartello che riportava il nome Santa Monica e, poche miglia più in là, ecco l’uscita.


Antonio Mecca

 

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