IL GERME DEL TALENTO
- 11 novembre 2023 Cultura
Nella quasi totale indifferenza del mondo editoriale (non) si è svolta la commemorazione della morte: 60 anni fa (10 ottobre 1963) di Giuseppe Marotta, grande scrittore italiano che in trent'anni pubblicò 26 libri di narrativa, cinque di recensioni cinematografiche, otto commedie, 11 sceneggiature, 13 canzoni. Il nostro è di sicuro il più bel Paese del mondo, ma è anche di sicuro, il popolo più ottuso in fatto di discernimento. Ci facciamo sedurre dalle tante belle parole riguardanti i tanti bei propositi enumerati, senza accorgerci della spesso quasi totale assenza di stile letterario, tanto che molti romanzi paiono resoconti giornalistici e molti articoli di giornale propagandistici riguardo le tesi enunciate. Ma proprio come la stragrande maggioranza delle tesi è priva di piacevole lettura perché vi manca il germe del talento letterario, idem lo sono questi articoli e soprattutto, la narrativa prodotta. Marotta non sempre aveva ragione su ciò che andava scrivendo, ma sempre l'aveva riguardo lo stile, di certo di prima classe. Lui che era stato un autodidatta era sbocciato alla calda luce del sole di Napoli da dove per 24 anni se ne sarebbe allontanato per lavorare dapprima a Milano, poi a Roma durante la guerra, quindi nuovamente a Milano per cinque anni e infine per13 anni ancora a Napoli, sebbene il suo fare tredici non poté venire accomunato al tredici di un totocalcio milionario. Infatti morì a soli 61 anni, di emorragia cerebrale, a un'età in cui al giorno d'oggi ci si considera ancora giovani, o perlomeno non ancora vecchi. E chi lo sa che questa emorragia non venne aiutata a fiorire anche dall'amarezza che i suoi esimi colleghi gli procurarono, lasciandolo nelle secche di un fondale dove si incagliano le grosse imbarcazioni fra le quali la sua, poiché Marotta fu un transatlantico della Letteratura, mentre molti suoi colleghi dei semplici vascelli, delle zattere di salvataggio in grado di salvare soltanto se stessi. Fra coloro che gli furono amici, ed estimatori, Vittorio Paliotti è al primo posto, e infatti curò gli ultimi suoi due libri usciti postumi: "Il teatrino del Pallonetto" e "Di riffe o di raffe", con tanto di lunga e circostanziata prefazione. Il dileggio che Giuseppe Marotta ottenne dai suoi colleghi e da alcuni capataz dell'editoria non va a loro onore perché, come titolava un film della seconda metà degli anni Sessanta: "Né onore né gloria", era la gloria che a loro mancava e si trasformava in invidia, l'invidia che è una brutta bestia, una bestia contro la quale non si può fare spesso nulla.
Antonio Mecca