LA BAMBINA E IL SUO CARNEFICE 4
- 01 agosto 2020 Cultura
Si erano recati sotto il ponte che unisce Pallanza con Intra, un ponte sotto il quale scorre il torrente San Bernardino che dà il suo nome all'omonimo quartiere circostante. Già altre volte si erano recati sulle sue rive sassose a prendere il sole d'estate, dove non lontano da loro si trovavano altri bagnanti che nel vederli li scambiavano per padre e figlia.
Ma quel giorno pioveva, e nei pressi non c'era nessuno. Il profumo della vegetazione incolta si mescolava con quello delle acque del torrente, e insieme provocavano nell'animo della bambina una confusa speranza nel proprio futuro altrettanto nebuloso mentre nell’animo dell’umo un rimpianto per il suo vissuto che non si sarebbe più ripetuto. La bambina pareva triste, come se qualcosa di inspiegabile la turbasse.
Lui sapeva che una parte di loro era finita per sempre, e anche lei ne aveva la percezione.
- Francesca… - l'aveva chiamata con una voce che non pareva essere più la sua, tanto sembrava provenire dalla profondità più oscura della sua psiche. Lei si era voltata a guardarlo, e aveva così notato i suoi occhi spenti, il volto pallido e tirato, la bocca debolmente supplichevole. L’istinto la stava mettendo in guardia, avvertendola del pericolo.
- Che hai? Ti senti male? - gli aveva chiesto con voce incrinata dal dubbio, un leggero tremito che le scuoteva il corpo delicato. Lui le aveva afferrato un braccio in quello che voleva essere un gesto di grande, infinito amore. C'era tutta la sua disperazione, in quel gesto, tutto il suo sentimento. Fu per questo che strinse troppo forte, spaventandola ulteriormente.
- Lasciami! Mi fai male!
- Non devi avere paura - le disse con voce disperata - perché io ti amo, Francesca.
E così dicendo crollò in ginocchio di fronte a lei, come il devoto di una Santa bambina in attesa del miracolo, miracolo che non sarebbe avvenuto. Le appoggiò il corpo contro il petto, quasi a voler auscultare le vibrazioni del suo corpo, quel corpo tanto venerato, per interpretarlo di significato. Ma la bambina non lo capiva, perché non poteva. L'unica cosa della quale si rendeva conto era che l'uomo di fronte a lei non era più quello con il quale aveva avuto confidenza fino a qualche istante prima, istante che oramai le sembrava lontano nel tempo, perduto in un passato che non le apparteneva più. Con un improvviso strattone che a lui sembrò quasi uno sgarbo nei propri confronti si divincolò, e prendendo a correre cercò di fuggire da lui, che per un istante restò fermò a guardarla allontanarsi, come paralizzato. Poi di scatto si rialzò, gettandosi al suo inseguimento e raggiungendola in pochi istanti. Era stato sempre un buon corridore, capace di correre a lungo senza affanno, talvolta parlando anche con chi gli correva a fianco.
L’afferrò per un braccio e la fece roteare verso di sé, nuovamente ripetendole quelle magiche parole per lei prive di ogni incantesimo.
- Ti amo, Francesca, non capisci?
No, lei non capiva, e a lui parve quasi un’ostinazione, la sua, uno stupido capriccio infantile. Ecco: infantile.
Antonio Mecca