LA SECONDA VITA DEI GRANDI ATTORI: OGGI GREGORY PECK
- 01 novembre 2020 Cultura
Rete Quattro trasmette spesso nel pomeriggio film western in prevalenza americani, e anche in questi giorni la prassi è stata rispettata con la messa in onda del film "La notte dell'agguato", un ottimo esempio del genere che caratterizza il cinema statunitense. Il film risale al 1968, e vede come protagonista l'attore americano Gregory Peck. All'epoca Greg (come quasi tutti lo chiamavano) aveva 52 anni essendo nato il 5 aprile 1916, a San Diego, e morire a Los Angeles il 12 giugno 2003. Figlio di un farmacista di origini irlandesi e di una insegnante di origini scozzesi, che proprio per questa caratteristica non poteva portare lei i pantaloni in casa visto che la gonna in Scozia la portano anche gli uomini, il bambino all'età di soli cinque anni visse la separazione dei genitori ma nonostante ciò (o forse proprio per questo) la sua infanzia fu felice. Gregory si iscrisse in una squadra di canottaggio, che forse lo aiutò nel procedere con vigore ed eleganza anche nelle perigliose acque del cinema, nel quale esordì dopo anni di lavori teatrali nel 1944 con il film "Tamara, figlia della steppa", dopo alcuni anni di interpretazioni teatrali. Sempre nel '44 girò il suo secondo film: "Le chiavi del paradiso", per il quale ricevette la prima delle sue quattro candidature all'Oscar. Con la seconda metà degli anni Quaranta la carriera di Gregory Peck prese il volo, e da allora fino al 1991 girò oltre cinquanta film tra commedie, polizieschi, western, bellici. Lavorò per due volte con il grande Hitchcock in: "Io ti salverò", e "Il caso Paradine". Nel 1946 interpretò, all'età di trent'anni, il ruolo del protagonista nel film "Il cucciolo", una produzione a colori strappalacrime del cui cast faceva parte anche Jane Wyman, futura prima moglie di Ronald Reagan, il quale avrebbe fatto versare lacrime a molte popolazioni facendogliene vedere pure a loro di tutti i colori. Sempre in quell'anno girerà il primo dei suoi oltre dieci western: "Duello al sole", un film di stampo quasi scespiriano al fianco di Jennifer Jones. Peck interpretò per due volte il ruolo di uno scrittore: fu Hemingway in "Le nevi del Kilimangiaro", 1952, e il suo collega-rivale Fitzgerald nel film del 1959 "Adorabile infedele". Fu, tra l'uno e l'altro, il protagonista del celeberrimo "Vacanze romane", girato nel 1952, distribuito nel 1953 e concorrente all'Oscar nel 1954, che procurò l'ambito premio a una esordiente ma già bravissima (e bellissima) Audrey Hepburn. Pare che fu proprio l'attore americano a volere il nome della giovanissima attrice inglese accanto al suo, perché aveva intuito la rapida affermazione che avrebbe avuto la fresca e spontanea Audrey. Fu quindi, nel 1955 (anno di nascita di grandi uomini) il capitano Achab nel film "Moby Dick, la balena bianca", tratto dal capolavoro di Melville e sceneggiato per lo schermo da Ray Bradbury. Dotato di un viso bello e deciso come intagliato dallo scalpello di uno scultore che ne aveva accentuato i lineamenti indiani, Peck rappresentò quasi sempre il buono cinematografico per antonomasia, tanto da ricevere dal presidente Jhonson la medaglia presidenziale della libertà per il suo impegno umanitario. Solo nel 1978, nel film "I ragazzi venuti dal Brasile", interpretò il ruolo del terribile dottor Josef Mengele. Nel 1962 aveva interpretato invece il ruolo di un avvocato difensore di un imputato di colore nel film tratto dal romanzo di Harper Lee "Il buio oltre la siepe", che l'anno successivo gli procurerà l'Oscar. L'attore si sposò due volte ed ebbe cinque figli, concludendo la sua carriera cinematografica nel 1991 con una piccola parte nel rifacimento del film "Cape Fear", che nella prima edizione del 1962 lo aveva visto protagonista. Tornando a "La notte dell'agguato", c'è da aggiungere che il doppiatore italiano fu l'allora ventottenne Gigi Proietti. Il film è tratto da un romanzo di Theodore Olsen, grande e prolifico scrittore di western, autore fra gli altri anche di "Soldato blu", che fa parte della serie revisionista nella quale gli indiani non sono visti più solo come selvaggi ma anche come esseri umani provvisti di sentimenti e orgoglio. Caratteristiche queste che non hanno evitato loro la quasi estinzione ma ne hanno evirato la forza relegandoli in riserve dove conducono un'esistenza che è anche una resistenza al rimpianto di un passato lontano e glorioso.
Antonio Mecca