La Storia fra serie e libro

Ho visto la serie televisiva la Storia, che racconta le piccole cose, lascia come sfondo i grandi avvenimenti e manca di un certo spessore ideologico. La gente è andata ad acquistare il libro, pensando di trovare ciò che era nella serie, ma non lo ha trovato e, come mi ha detto una libraia, molti hanno trovato il testo troppo complicato. Eppure, quando è uscito nel 1974 il libro in edizione economica, perché tutti potessero acquistarlo, il successo di pubblico è stato enorme. Siamo diventati lettori superficiali? Ci annoiano le riflessioni sulle ideologie politiche? Forse è stata di questa idea la regista Archibugi, che ha ridotto il personaggio di Carlo Vivaldi - diventato Piotr da partigiano e poi Davide Segre -sua vera identità - in un ubriacone, nullafacente e drogato, senza far vedere agli spettatori come i suoi ideali anarchici si siano sgretolati.

Davide rimane solo, dopo la morte di Nino, il giovane entusiasta del fare, a cui basta imbracciare le armi, sia dalla parte dei fascisti sia da quella dei partigiani e in nome del fare non accetta che alla fine della guerra tutto ritorni come prima e non avvenga un cambiamento radicale.

Davide si rifugia nella misera stanza in cui si incontrava con la prostituta Santina, che lui non trova più perché è stata uccisa dal suo protettore, ma nella serie non lo si dice. E nella serie non c’è nulla dei tormenti che lo dilaniano, esposti così bene dalla Morante nella parte 6 dell’anno 1946.

In un’osteria, fra avventori che giocano a carte, altri che seguono le partite alla radio, Davide parla di fascismo, di potere, di borghesia, di Dio, di Anarchia, discorsi troppo complicati per un semplice spettatore, ma quando ricorda di aver finito a pedate un tedesco, diventato rappresentante dei tedeschi che gli avevano massacrato la famiglia ebrea, e dice: “Io, che lo massacravo, sì ero diventato un SS. Ma lui, che crepava, non era più né un SS né un militare di nessuna arma!”.

Almeno questa battuta la doveva lasciare a Davide, sdraiato su uno sporco giaciglio, come ce lo ha presentato. Avrebbe fatto capire che cosa fa la guerra, visto che ne abbiamo due di guerre alle porte di casa! Invece la regista ha preferito puntare su una madre e un figlio, non poveri, ma ultimi fra gli ultimi e questo è piaciuto al pubblico.

Daniela Renieri 

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