RICORDIAMO WALTER TOBAGI
- 07 giugno 2020 Cultura
Un esempio per tutti noi
Sono trascorsi 40 anni dall'assassinio di un giusto come Walter Tobagi è stato, ammazzato da l'anti stato nella tarda mattinata del 28 maggio 1980, cinque colpi di pistola esplosi da sudici assassini politicizzati, che vigliaccamente lo assassinarono aspettando che uscisse dalla sua casa per recarsi al Corriere della Sera. Walter Tobagi era nato 33 anni prima, il 18 marzo 1947, a San Brizio, frazione di Spoleto, ma all'età di otto anni si era trasferito con la famiglia a Bresso, paese alle porte di Milano. Già 10 anni dopo, nel 1965, Walter esordisce nel mondo della carta stampata collaborando al giornale studentesco "La Zanzara", organo di stampa del liceo Parini da lui frequentato. Il lungo articolo-inchiesta su cosa leggono i Pariniani appare nel marzo 1965, quando Tobagi ha solo 18 anni. Il giovane reporter non usa ironia quando mette al corrente i lettori della pochezza intellettuale dei suoi compagni di scuola, avvezzi a leggere gialli o fumetti, o semplici estratti di libri di autori italiani o stranieri nei cosiddetti bigini, mutuati dai libri condensati del Reader's Digest.
Dopo il liceo il neo diplomato nonché neo giornalista entra dapprima nel quotidiano socialista "L'Avanti", e quindi: 1969, nel quotidiano cattolico "Avvenire". Il direttore di allora Leonardo Valente dirà di lui:
“Affrontava qualsiasi argomento con la pacatezza del ragionatore, cercando sempre di analizzare i fenomeni senza passionalità. Della contestazione condivideva i presupposti, ma respingeva le intemperanze".
”Dopo l'Avvenire, limitato purtroppo per quanto lo riguardava, ci furono il "Corriere d'Informazione" e: dal 1972, il "Corriere della sera", per il quale scrisse molti articoli che cercavano di indagare all'interno della galassia extraparlamentare nonché in parte terrorista, un mondo sommerso che poteva contare anche su gente che conta, un mondo formato da molte più persone di quante se ne potessero immaginare, nonostante lo slogan: l'immaginazione al potere, ma comunque molto meno di quanto fino a non molto tempo fa si era indotti: da chi?, a credere. Perché se le sigle si moltiplicavano, i suoi componenti potevano essere invece sempre gli stessi. Ci si può ancora adesso stupire del fatto che questi debilitati mentali spesso colpissero giornalisti o magistrati moderati. Fra questi ultimi Emilio Alessandrini, primo fra i magistrati in lotta con l'estremismo, che nella sua ultima intervista apparsa su "L'Avanti" tre giorni prima della sua uccisione, disse:
“Non è un caso che le azioni dei brigatisti siano rivolte non tanto a uomini di destra, ma ai progressisti. Il loro obiettivo è intuibilissimo: arrivare allo scontro nel più breve tempo possibile, togliendo di mezzo quel cuscinetto riformista che, in qualche misura, garantisce la sopravvivenza di questo tipo di società.”
Stesso valido discorso per quanto riguarda Walter Tobagi, che proprio perché intelligente, moderato, ansioso di capire le ragioni degli altri venne barbaramente ucciso all'età di 33 anni. Il giornalista e scrittore pubblicò in vita sei libri, più un settimo postumo. Il libro che in questi giorni il Corriere della Sera ha di recente distribuito nelle edicole: "Poter capire, voler spiegare", alterna articoli di Tobagi a quelli di suoi colleghi quali Pierluigi Battista, Isabella Bossi Fedrigotti, Aldo Cazzullo, Ferruccio de Bortoli; e Benedetta Tobagi, sua figlia e collega, la quale venne privata del suo papà quando aveva solo tre anni.
Benedetta scrive del suo papà con amore e affetto, cercando, tentando di mascherare il dolore ancora presente e che per molto tempo l'ha vista soffrire per la mancanza della presenza di un padre, e che padre, quale Walter era. Un padre al quale ha dedicato il bellissimo libro "Come mi batte forte il cuore". Ed è sufficiente guardarla nelle interviste televisive per capire che tipo di donna Benedetta Tobagi sia, con la sua calma, la sua pacatezza, la sua intelligenza non sbandierata con arroganza. Tutto il contrario di chi ha impugnato prima la penna per scrivere deliranti volantini e poi la pistola per mettervi la parola "Fine". Una fine che ha tolto alla vita un uomo giusto, testimone di un tempo sbagliato.
Antonio Mecca