UNA STORIA METROPOLITANA

Di Albertina Fancetti
Puntata venti

Si stava avvicinando di nuovo il Natale e tutta la famiglia cercò di coinvolgere Martina nei preparativi per le feste. Davide e Simone vollero che li accompagnasse a comprare l'abete più bello nel vivaio del quartiere, e tutti insieme lo addobbarono ritrovando le decorazioni che avevano conservato fin da quando erano piccoli e ognuna aveva per loro un significato speciale. Quei momenti erano per la ragazza delle vere iniezioni di speranza, che le davano la forza di uscire da quel tunnel di solitudine nel quale si dibatteva. Festeggiarono il Capodanno a Madonna di Campiglio, dove ritrovarono anche Stefano con i genitori. Nessuno parlò di quanto era accaduto in autunno, anche se Martina era convinta che sua madre si fosse confidata con gli amici prediletti. 

Ancora una volta l'atteggiamento dei ragazzi la disorientava, sebbene nulla potesse impedirle di sentirsi ancora sporca e contaminata dagli ultimi risvolti della sua vicenda sentimentale, tuttavia avvertiva  in Stefano e nei suoi fratelli una sorta di nuovo rispetto. Quando si salutarono dopo le giornate serene trascorse in montagna, Stefano le tenne a lungo la mano facendole capire senza bisogno di parole quanto teneva a lei.  Sebbene Martina si sentisse molto sola, non era ancora pronta a buttarsi in un nuovo rapporto, doveva prima convincersi di meritare ancora l'amore di qualcuno, nonostante gli errori commessi. 

Al ritorno a scuola dopo le vacanze invernali l’attendeva una tragica notizia, Sabina era stata stroncata da un overdose durante il periodo che aveva passato a casa per il Natale. Sua madre l'aveva trovata riversa nel bagno, ormai priva di vita. L'assunzione di eroina dopo un lungo periodo di astinenza le era stato fatale, ponendo fine alla sua giovane vita. Martina ne rimase sconvolta, e fu l'unica in classe a provare un sincero dispiacere per la sfortunata ragazzina. Le altre compagne l'avevano cancellata ormai da tempo dalla loro memoria, e ritenevano la sua fine una tappa obbligata, una conseguenza delle scelte di vita che Sabina aveva voluto portare avanti. Quell'ultimo triste evento le tolse anche l'ultimo velo di pena che ancora le restava sugli occhi, mostrandole crudelmente la realtà  in tutto il suo squallore e  facendole valutare, forse per la prima volta, tutti i pericoli che aveva corso frequentando Michele e la sua compagnia. Una parte di lei era lieta di sentirsi in salvo, l'altra continuava a chiedersi se davvero lo meritava. 

Michele non ottenne gli arresti domiciliari e scontò la sua pena fino in fondo, quando uscì dal carcere si rifugiò in Calabria dalla nonna in cerca di conforto. Anche Nino venne rilasciato e la sua famiglia lo convinse a entrare nella Comunità di S. Patrignano. Nessuno dei due ragazzi aveva il coraggio di affrontare la gente del quartiere, che li aveva visti crescere e sbagliare. Dopo l'esperienza del carcere avevano bisogno di ricostruire le loro vite lontano da casa. Marco andò a spacciare in altre piazze e di Cecilia nessuno  seppe più nulla. I gattini che avevano vissuto con loro sulla vecchia Mercedes erano sopravvissuti, e vivevano nei cortili delle case dipinte di verde pistacchio. La figlia della lattaia si era fidanzata con un bravo ragazzo e Roberto, rimasto solo, si era rimesso a lavorare in cantiere. 

Il rapporto di amicizia fra Martina e Michele continuò negli anni che seguirono, si sentivano per telefono saltuariamente, informandosi l’uno dell’altra, si facevano gli auguri a Natale e ai compleanni che nessuno dei due dimenticava mai. Michele non si drogava più però a volte aveva bisogno di bere. Era tornato a Milano e cambiava posto di lavoro ogni tre mesi, ormai aveva provato di tutto, dal fattorino al lavapiatti. Martina si era diplomata e aveva trovato lavoro presso un agenzia di viaggi, si era inoltre fidanzata con Stefano con il quale meditava di andare presto a convivere. La loro vita sembrava scorrere su binari tranquilli, paralleli ma destinati a non incrociarsi mai più. Fino a quella terribile telefonata…

«Pronto Martina… sono Michele… Mi hanno ricoverato all’ospedale… ho l’AIDS conclamato.

 Mi hanno dato tre mesi di vita» e la voce di Michele si spense in un singhiozzo soffocato. 


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