UNA STORIA METROPOLITANA
- 10 giugno 2020 Cultura
Di Albertina Fancetti
Puntata nove
Michele attendeva sotto casa di Martina semi nascosto dal tronco di un platano. La ragazza lo spiava dalla finestra, le sembrava impossibile che quel ragazzo ordinato potesse essere la stessa persona che biascicava il suo nome la sera prima, abbruttito dalla droga. Dopo aver vissuto quella esperienza traumatizzante, che le aveva brutalmente svelato la verità riguardo a tutto il gruppo, Martina era diventata più acuta nell’osservare i particolari. La camicia azzurra di Michele, lavata e ben stirata, ma con le maniche sempre rimboccate appena sotto i gomiti, le ricordava che quello a cui aveva assistito poche ore prima non era soltanto un brutto sogno. Nonostante tutto sentiva di amarlo ancora moltissimo, con tutta la tenerezza e la dolcezza dei suoi sedici anni. Rimase a osservarlo nascosta dalle tende, mentre lui sollevava lo sguardo verso la sua finestra con gli occhi da cucciolo tornati a essere quelli che lei conosceva. Il gesto familiare di scompigliarsi i riccioli fulvi, le fece venire voglia di scendere di corsa le scale e di abbracciarlo, dicendogli la frase assurda che tante ragazze avevano pronunciato prima di lei nella stessa situazione: “Io ti salverò” senza sapere quanta ingenua presunzione stesse in agguato dietro la lotta senza quartiere che comportava un nemico potente e subdolo come l’eroina.
«Che cosa faccio?» si chiedeva Martina disperata.«Se avessi almeno qualcuno con cui parlare… Qualcuno che non mi giudichi, al quale chiedere consiglio… Certamente non mia madre… se sapesse che frequento un drogato mi ucciderebbe e tanto meno una saputella come Monica».
Martina si guardava intorno smarrita, durante la notte aveva rivissuto mille volte l’immagine di Michele abbandonato sulla panchina, Nino barcollante in mezzo alla pista di pattinaggio, illuminato dal lampione che lo faceva sembrare un patetico mimo sotto la luce di un pallido riflettore e Sabina che guardava allucinata le sue gocce di sangue. Con l’arrivo dell’alba, la rabbia aveva lasciato il posto alla delusione e quindi alla pena. E poi era giunto il mattino, la stupida discussione con la mamma e l’inutile tentativo di mettersi a studiare, ma la cosa peggiore era la sensazione di vuoto assoluto, una giornata inutile senza dover aspettare l’ora di correre ai giardinetti e salutare Michele con un bacio e mano nella mano attraversare il quartiere… Nulla per cui valesse la pena di alzarsi al mattino e vivere fino a sera. Qualsiasi cosa, anche la peggiore, non poteva aver sentore di morte quanto quel vuoto che si sentiva dentro, e fu proprio quello a spingere Martina a infilarsi le scarpe e scendere sotto casa, nel sole tiepido dell’inizio d’autunno, a raggiungere Michele. Era molto emozionata e aveva gli occhi pieni di lacrime quando gli disse:
«Ciao!»
«Amore mi dispiace tanto per ieri sera, non pensavo che tua madre ti avrebbe permesso di venire ai giardinetti con il buio» il tono di Michele era veemente e si sentiva molto l’accento calabrese.
«Infatti mia madre non lo sapeva, ci sono venuta di nascosto per poter stare con te, visto che fra una settimana partirai per il servizio militare. Ma non è questo il punto… Il fatto è che mi hai sempre mentito… mi avevi fatto credere che tu non la prendevi quella roba!» la voce di Martina si alzò pericolosamente, mentre la rabbia per il tradimento subìto tornava a impossessarsi di lei.
«Non la prendo sempre e comunque smetto quando voglio, non ne sono dipendente come Nino o Sabina» protestò Michele.
«Non la devi prendere proprio se vuoi continuare a stare con me, avevo deciso di lasciarti, ma purtroppo ti voglio troppo bene, quindi farò il possibile per aiutarti e venirne fuori. Però tu ti devi impegnare!»
«Grazie amore! È proprio quello che speravo di sentirti dire, comunque stai tranquilla che smetterò per forza adesso con la naja». Michele l’abbracciò con passione, ritornando a essere il cucciolo affettuoso di sempre. Martina gli sorrise tra le lacrime, più sollevata, voleva a tutti i costi credere in lui.
«Però non me la sento di rivedere anche gli altri, per favore andiamo in un altro posto» lo pregò.
«Certo amore come vuoi tu, andiamo a casa mia così ti faccio conoscere mia madre e i miei fratelli» le propose Michele.
«Grazie, vengo molto volentieri» accettò Martina lusingata, pensando che forse il ragazzo aveva veramente intenzioni serie, sia nei suoi confronti sia riguardo al suo rapporto con la droga.
Si incamminarono uscendo dal grazioso quartiere dove abitava la ragazza, fiancheggiarono i giardinetti senza fermarsi, sebbene non ci fosse ancora nessuno dei loro amici seduto sulla panchina. Attraversarono il grande viale trafficato che divideva l’isolato tra la zona residenziale e quella popolare dove, nelle vecchie case dipinte di verde pistacchio con l’intonaco a tratti scrostato, viveva Michele. Entrarono nella penombra del grande portone di legno ad arco e, passando per un vialetto di cemento che fiancheggiava aiuole di erba ingiallita, raggiunsero le scale dove aleggiava un profumo di aglio fritto e le salirono fino a raggiungere il secondo piano. Michele aprì la porta di casa e fece entrare Martina in una vasta cucina. Una donna di mezza età, di bassa statura e dai capelli nerissimi, stava stirando una pila di panni.
«Ciao mamma! Questa e Martina, la mia ragazza» esclamò Michele tutto allegro, dirigendosi verso il vecchio frigorifero da dove prese due lattine di Coca Cola offrendone una alla ragazza.
«Ciao bella!» rispose la mamma di Michele, quindi rivolgendosi al figlio chiese «Come mai non sei al cantiere?»
«Questa settimana non lavoro perché lunedì parto per Pordenone, non ti ricordi che vado a fare il servizio militare?» replicò Michele infastidito.
«Sì, sì» borbottò la donna riprendendo il suo lavoro.
«Vieni Martina» disse Michele conducendola verso un'altra stanza che fungeva da soggiorno. Si sedettero sul divano di finta pelle molto rovinato. Accesero la televisione che però non guardarono, perché il ragazzo la strinse a sé baciandola lungamente.
Per tutto il resto della settimana non si fecero vedere ai giardinetti e frequentarono solo la casa di Michele, dove Martina ebbe modo di conoscere Gianni, il fratello maggiore, Piero che faceva il barista e Giacomo il fratello minore di Michele che faceva il pizzaiolo, soltanto Laura, la sorellina di quindici anni, frequentava la scuola superiore con ottimi risultati. La mattina brumosa di un lunedì di fine settembre Michele partì per Pordenone.