LIBERIAMO QUELLA MANO

Al Famedio del cimitero Monumentale, una lapide ricorda Salvatore Quasimodo, che dal 1941 al 1968 fu professore di Letteratura italiana al Conservatorio di musica “Giuseppe Verdi” di Milano. Una targa in corso Garibaldi 16 indica il luogo in cui visse.

Al noto poeta dell'Ermetismo, se girasse oggi per la città, son certo che verrebbe voglia di parafrasare in questo modo alcuni suoi celebri versi:

OGNUNO
VIVE URLANDO NEL PROPRIO TELEFONINO,
TRAFIGGENDO LE ORECCHIE DEGLI ALTRI.
ED E' SUBITO SCEMO!
Non circolo per il mondo fissando cronicamente un gingillo tecnologico all'ultimo grido, stretto perennemente in mano, non essendo schiavo di alcuna protesi cerebrale con cui vivere in simbiosi. Non sono neppure un “twittarolo” e gli amici preferisco trovarli fra i vivi, anziché fra i tizi virtuali della "grande ragnatela". Ciò evita d’inciampare nel marciapiede o di finire sotto un tram, mentre si controllano i loro post e i profili Facebook sul telefonino.
Quel che è privato lo dico in privato, senza angustiare il prossimo strillando ai quattro venti, senza notificare ad altri se mangerò pasta lunga o corta, senza imporre a nessuno le mie conversazioni.
Sui mezzi pubblici, eletti ormai a uffici personali, non si riesce più a leggere in pace una riga di libro o di giornale, dopo l'invasione di tanta avanguardia della molestia. L’opzione “più urli, meno paghi” è attivata senza alcun ritegno e il tedioso fischiettio di WhatsApp completa l’opera. A quando le vetture separate per questi viziatissimi figli di Android?
Al virtuosismo ipertecnologico, preferisco ancora le virtù legate alla vita reale e la simpatia verso i miei consimili è divenuta inversamente proporzionale al glamour delle loro suonerie, oltre che alla frequenza con cui si attivano. Non amo compulsare messaggini in continuazione, né mi faccio ipnotizzare dai games da cellulare mentre viaggio in metrò. Meglio guardarsi intorno, accorgersi di quanto accade e, magari, alzarsi per cedere il posto quando si scorge un vecchietto o una donna incinta. Sembra che la nuova generazione, ferratissima sui “nuovi saperi”, tale attenzione la ignori abbastanza!
Se incrocio una bicicletta che viaggia sul marciapiede, urlo al ciclista tutto il mio biasimo, invece di affidare lo sfogo a un inutile forum, su cui controllare tutto il giorno se altri psicotici hanno commentato.
Mentre guido l’auto, tengo le mani ben salde sul volante e gli occhi fissi sulla strada, per scongiurare eventuali pericoli improvvisi. Mi relaziono al mondo circostante con tutti i sensi di percezione, come ha sempre fatto l’uomo. Evito, in tal modo, di contribuire all'impennata di incidenti dovuti al telefonino e mi accorgo se sopraggiunge un'ambulanza in emergenza, per cedere subito strada.
La trasformazione antropologica è già in corso e ha sottratto una mano alle abituali funzionalità. Finiremo prede di autismo tecnologico e cesseremo di essere autentiche persone, per diventare insignificanti appendici di sofisticati congegni?
Lo smartphone occupa ossessivamente l’attenzione e il tempo di tutti e sta producendo più stupidi di quanti ne ha confezionati la televisione commerciale degli anni '80.
Sintetizzava bene Einstein: A volte è meglio tacere e restare ignoti che parlare e togliere ogni dubbio.
Ai giardini pubblici, gli adolescenti sulle panchine perdono la testa solo nei rispettivi giocattolini, anziché guardarsi negli occhi, e tutto l’incanto sfuma nei trilli di congegni senza poesia.
Alziamo gli occhi mentre camminiamo: la nostra città è ricchissima di facciate Liberty, in grado di riempire gli occhi più di qualsiasi schermino digitale.
Nonostante l’ubriacatura di massa, io resisto e resto fuori dal brodo culturale dominante. E chiamatemi pure troglodita, se volete!
Leonardo Schiavone

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