Il cinque maggio (1821) di Alessandro Manzoni
- 05 maggio 2021 Poesia della notte
Ei
fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia
immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la
terra al nunzio sta,
muta pensando all’ultima
ora dell’uom
fatale;
né sa quando una simile
orma di pie’ mortale
la
sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
Lui
folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con
vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al
sònito
mista la sua non ha:
vergin di servo encomio
e di
codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito
sparir di tanto
raggio;
e scioglie all’urna un cantico
che forse non morrà.
Dall’Alpi
alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il
fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al
Tanai,
dall’uno all’altro mar.
Fu vera gloria? Ai
posteri
l’ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al
massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più
vasta orma stampar.
La
procellosa e trepida
gioia d’un gran disegno,
l’ansia d’un
cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene
un premio
ch’era follia sperar;
tutto ei provò: la
gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,
la
reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte
sull’altar.
Ei
si nomò: due secoli,
l’un contro l’altro armato,
sommessi
a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe’ silenzio,
ed arbitro
s’assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì
nell’ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d’immensa
invidia
e di pietà profonda,
d’inestinguibil odio
e
d’indomato amor.
Come
sul capo al naufrago
l’onda s’avvolve e pesa,
l’onda su
cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a
scernere
prode remote invan;
tal su quell’alma il
cumulo
delle memorie scese!
Oh quante volte ai posteri
narrar
se stesso imprese,
e sull’eterne pagine
cadde la stanca man!
Oh
quante volte, al tacito
morir d’un giorno inerte,
chinati i
rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che
furono
l’assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
tende,
e i percossi valli,
e il lampo de’ manipoli,
e l’onda dei
cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.
Ahi!
forse a tanto strazio
cadde lo spirto anelo,
e disperò; ma
valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa
il trasportò;
e l’avvïò, pei floridi
sentier della
speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri
avanza,
dov’è silenzio e tenebre
la gloria che passò.
Bella
Immortal! Benefica
Fede ai trionfi avvezza!
Scrivi ancor
questo, allegrati;
ché più superba altezza
al disonor del
Gòlgota
giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
sperdi
ogni ria parola:
il Dio che atterra e suscita,
che affanna e
che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posò.