POESIA DI RICERCA
A cura di Alberto Pellegatta
Francesca Moccia (Benevento 1971), già con la prima raccolta, La muffa del creato (Lietocolle 2002) è entrata nel novero degli autori più interessanti della nuova generazione.
Cupa e ambigua, la poesia di questa giovane scrittrice ha radici inconsapevoli nell’ermetismo e concede al lettore immagini da decifrare. La raccolta, affascinante per la potenza imprevedibile delle visioni, ha punti di verticale liricità: «Lungo il grappolo l’attimo si fa bruco».
Libro delle profondità e della superficie, di depistante opacità: «lo sentii/rientrare accanto al verde delle foglie... riempì la caldaia». Il paesaggio è quasi narcotico, mentre le azioni veicolano il mistero: «Gesti trascritti in tasche private di sospetto». Il tema della paura ritorna a più riprese ma la scrittura è scattante e veloce, atletica. «Finestre, gabbie e ordigni giganti»: il catalogo è anche questo. Il passaggio del tempo non è solo deteriore, concede riscatto al tormento. L’orizzonte si disfa nell’osservatore: «Il fiume rilegge la campagna». Mai diaristico, l’esordio di Francesca Moccia si compie in un gioco di specchi: «Sollevo la testa, osservo la bocca precisa... la grande notte ci fruga nelle aule».
Nella nostra collana Poesia di Ricerca è uscito il suo ultimo lavoro, in abbinamento ai testi di Jack Underwood, poeta inglese dell’84 che ha all’attivo un’importante pubblicazione per Faber&Faber. Wilderbeast è un viaggio infernale e visionario. La sua poesia «assorbe la dimensione al suo interno», «produce ombre» e teme «che si geli l’acqua quando sta nuotando». Un «limoso forsennato battere di colpi» ritma l’intero paesaggio lirico, fino al punto in cui non rimane altro che «vagare eternamente nel giallo dei tronchi», nella «poltiglia avvilita». Un orizzonte residuale di «stelle collise», che restituisce «più pericolo che importanza». La «voce degli impulsi», partecipata, detta uno stile a tratti furioso, «imbottito di esplosivo», che sa però refluire quiescente: «ma quando la mia calma torna penso al / mio tema natale, alla mia coscienza... Al suo scenario ineccepibile». Francesca Moccia propone, infondo, una «realtà leale».
Sollevo la testa, osservo la bocca precisa e carnosa
di uomo, il tono dei gorgheggi insopportabili che vagano fetidi.
La grande notte ci fruga nelle aule.
Esiste un suono girando i cortili, odore di salse
di stagioni passate.
La mano tiene una vetrata, lasci infelice il tuo pezzo,
questo suono confuso ti degna senza significato.
Senza presa si sfiora il mestiere, un uomo, un dolore
finché si diventa un unico fischio.
*
Lei è una piccola fantasia tra due
punti.
Somiglia a tanti è un’ipotesi che
passa per uomo.
*
Nella nebbia le figure si adattano
la collina è un filo che si ritira
era freddo, ogni distruttore si alza
al mattino e attacca l’opera.
Assapora pianissimo il dolore delle tue ossa.
La terra ha respiri più profondi dell’acqua.