IL RISORGERE DEL MALE 3
- 20 febbraio 2023 Racconti
Un po’ come il Nuovo Mondo che aveva azzerato quello Vecchio fino al punto da indurlo a cambiare legalmente il nome originario, assumendone uno di stampo anglosassone. Perché a dispetto del suo alter-ego narrativo, un poliziotto italo-americano di seconda generazione, lui probabilmente si identificava di più nel co-protagonista, il poliziotto americano puro della sua serie poliziesca più famosa e longeva. Insomma: se l’alter-ego rappresentava per buona parte quello che lui era, l’americano puro e in fondo ingenuo rappresentava quello che lui avrebbe voluto essere.
Avrei desiderato, prima di presentarmi in loco, di telefonare alla signora Mitridevic- Lombain per chiederle di potermi ricevere, ma non conoscendo il suo numero di telefono che sull’elenco non risultava, non mi era stato possibile farlo. Per cui, mi ero recato di persona sperando di trovarla e ovviamente di poter venire ricevuto. Cosa che avvenne.
Ad aprire il portone sollecitata dal campanello azionato, fu lei in persona. La riconobbi per averla già vista in precedenza su varie fotografie e qualche filmato. Di persona mi pareva più magra ed emaciata, quasi brutta, sebbene il portamento eretto, i lunghi capelli sciolti e l’atteggiamento da attrice quale era (insegnava o aveva insegnato recitazione in una scuola di New York) la rendessero se non affascinante di certo interessante. Dimostrava più di cinquant’anni; cinquant’anni portati male. La sua magrezza faceva pensare a un appendiabiti con sopra, cascante, un vestito teso.
Mi fissò con occhi spiritati come quelli di due piccoli frutti immersi in alcool a 90°. In lei parevano micidiali come due proiettili di calibro 45 indirizzati verso chi la fronteggiava.
Non aveva però bisogno di puntare armi per mietere vittime. Già ne aveva falciate in precedenza con la sua sola presenza, che pareva quella della Signora di nero vestita (cosa questa che il nero abito indossato in quel momento rendeva di molto simile).
- Miss Lombain, suppongo… Mi chiamo Hammer, Mike Hammer, signora Lombain – e così dicendo le mostrai il documento che confermava quanto da me enunciato.
- Mi scusi per il disturbo, Miss Lombain (ripetevo di continuo il nome da lei acquisito dal marito nella speranza di farle piacere) ma vorrei poterle parlare riguardo all’indagine che sto conducendo.
- Quale indagine?
La sua voce era sottile, leggermente sgraziata, sebbene impostata e resa innaturale come la maggior parte delle voci degli attori teatrali impostate da attori falliti che solo nell’insegnamento, nel forgiare giovani talenti traggono la loro parte di gloria.
- Un mio collega è scomparso da più di un mese - spiegai. - Ha lavorato per conto di suo marito
qualche tempo prima. Si chiama Philip Raymond. Philip come Marlowe e Raymond come Chandler. Ne ha sentito parlare?
- No. - Un no reciso, il suo, definitivo.
- Suo marito non le ha parlato di lui? – insistei.
- No - ripeté, non meno recisa di prima. - E adesso, signor Hammer – proseguì con tono di grande (almeno secondo lei) recitazione, perché lei era una insegnante teatrale di quelle sempre legate, come da un cordone ombelicale, al palcoscenico-ventre che l’aveva fatta rinascere e crescere e prosperare – adesso la prego di scusarmi ma devo salutarla.
- Visto che prima non l’ha fatto sarebbe giusto lo facesse adesso. D’altronde non è obbligata a farlo neppure adesso, se non forse dalla buona educazione. È obbligata, o sarebbe invece obbligata: dal senso di responsabilità, a rispondere su quanto riguarda una persona della quale non si sa più nulla, persona la cui ultima indagine riguardava proprio lei, signora Lombain.
Mi fissò con sguardo cattivo, e con voce altrettanto cattiva disse:
- Le ho già detto che non so nulla. Per cui se ne vada, se non vuole che chiami la polizia.
Sorrisi.
- Non si scomodi. I poliziotti reali non sono come quelli descritti da suo marito, per cui non mi va di incontrarli. Grazie per la non collaborazione, e arrivederci.
Mi sbatté la porta in faccia.
Girai sui tacchi e lasciai la sua proprietà alle mie spalle, allontanandomi con passo calmo.
Ero sicuro mi stesse osservando, con il suo sguardo di uccello rapace. Un rapace capace di dilaniare a colpi di becco la carcassa di un uomo ridotto così da lei stessa, dopo averlo spolpato di tutto: dignità, stima, averi con il proprio talento giustamente conquistati.
Antonio Mecca