Equivoco periferie

Il tema delle periferie, non solo a Milano, non solo in Italia, ma anche nel resto del mondo, è affrontato con le stesse modalità con le quali si organizza una partita di calcio scapoli-ammogliati. Invece, serve una struttura, anche mentale, per organizzare un campionato di calcio.
In questo periodo si fa molto riferimento alle periferie, tra l’altro al centro dell’attenzione di questa campagna elettorale per l’elezione del Sindaco.

“EQUIVOCO”
Ma c’è un “equivoco” di fondo che va risolto, una questione metodologica che va chiarita, altrimenti si fa un errore di metodo. Perché un conto è fare delle iniziative nelle periferie e, fortunatamente sono in molti a farle. Ma un altro è affrontare la situazione delle periferie nella sua complessità, che comporta la messa in campo anche di strumenti adeguati, che affrontino i problemi – possibilmente prevenendoli – invece di rincorrerli, come “normalmente” accade. 
Allora, la buona volontà è importante, ma è necessario un approccio diverso – perché non si può pensare di risolvere i problemi usando la stessa mentalità che li ha provocati – e, quindi, bisogna anche attrezzarsi in maniera adeguata. 
“PARTITA” O “CAMPIONATO”?
Allora, cercando di esemplificare con un gergo calcistico, potremmo dire che un conto è giocare “una partita”, sia una semplice “scapoli-ammogliati”, piuttosto che un Inter-Milan. Due iniziative molto diverse per importanza, peraltro  con una loro apprezzabile validità intrinseca e con un risultato chiaro, verificabile dopo i classici 90 minuti. Altra cosa, invece, è organizzare “un campionato di calcio”, magari con le squadre di tutti i quartieri della città, da seguire con costanza per un  intero anno.
Ecco, ritornando alle periferie, possono essere promosse specifiche iniziative, allo stesso modo di come si può fare in uno dei vari comuni limitrofi: sono utili ed è sempre importante realizzarle.
30 ANNI
Ma se una metropoli come Milano vuole affrontare il tema delle sue periferie, allora la logica delle singole partite non è adeguata a sostenere i termini del problema. Invece, mantenendo l’esemplificazione calcistica, è richiesto di organizzare “un campionato”.
Certo, è cosa più complessa, con  risultati che non sono immediatamente apprezzabili. Nel merito, l’architetto e senatore a vita Renzo Piano, ha osservato: Credo che il grande tema dei prossimi 30 anni sia il restauro delle periferie o, meglio, l’urbanizzazione delle periferie. Le periferie sono la città che sarà o che non sarà, ma allora saranno guai grossi. (…) Certo le periferie non sono così “fotogeniche” come i centri storici: belli, ricchi di storia e pieni di fascino, ma rappresentano la grande sfida delle città. Dunque, 30 anni, “una vita” verrebbe da dire. Allora, è comprensibile l’abbandono, il concentrarsi sulla propria “partita”, magari faticosa, ma che dà tangibili soddisfazioni, come abbiamo sentito in un recente incontro al Corvetto.
SISTEMA
Per le periferie, come per un campionato, ci vuole l’impegno condiviso di più attori. Un impegno che – come si una molto dire, ma poco fare – faccia “sistema”. Che non è cosa facile, perché «Milano è come  un operoso alveare, con tante celle che non comunicano tra di loro. Una Milano che non fa sistema, (…) che per farlo deve guardare oltre la cerchia delle mura spagnole. (…) Le periferie sono luoghi sconosciuti, luoghi marginali e tenuti ai margini» (Identità Milano - Indagine Ipsos).
MUNICIPALITA’
Ma c’è qualcuno che fa sistema nelle periferie? Un’occasione potrebbe essere data con le Municipalità, in discussione in Consiglio comunale di Milano, che sostituiranno gli asfittici Consigli di zona. Ma come? Sarà solo un cambio di facciata? I vari candidati sindaco se ne stanno occupando o pensano che potrà essere risolto tutto da Palazzo Marino? Cosa che nessuno è riuscito a fare e la situazione delle case popolari è un esempio che lo sta a dimostrare.
PERIFERIE: MODELLO MILANO?
Più volte si sente parlare di “Modello Milano”. Ma c’è un Modello Milano per le periferie? Ecco, le periferie sono un po’ una sfida per tutta la città, per la sua “classe dirigente”, che è una cosa diversa dal “contare”, dal riuscire  a piegare le cose a proprio vantaggio, seppur legittimo. E’ “classe dirigente” chi si carica sulle spalle un pesante fardello e cerca di trovare una strada che possa essere percorsa da tutti. E si può fare.                                              
Walter Cherubini
Consulta Periferie Milano

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