Milano è Memoria
- 13 dicembre 2022 Dalla Lombardia
Il discorso del sindaco di Milano Giuseppe Sala in occasione della commemorazione del 53esimo anniversario della strage di piazza Fontana
Lasciate che vi ringrazi per essere in Piazza Fontana: tutte e tutti.
Non è scontato, al giorno d'oggi, essere qui. Ma è giusto essere qui, in un posto in cui si è fatta la storia dell'Italia, falcidiando i milanesi, falcidiando gli italiani. 17 morti, 88 feriti.
53 anni dopo siamo ancora qui a ricordare, a testimoniare. Testimoniamo che l'inizio di una parte drammatica della storia italiana è avvenuto in questo luogo, nel pomeriggio del 12 dicembre 1969. Più di mezzo secolo fa. Un altro mondo, in pratica; però: il nostro mondo. Veniamo tutti da lì. Perché la strage di Piazza Fontana, questa piazza, questo selciato su cui stiamo ancora oggi, ha inaugurato davvero un nuovo periodo nella vicenda nazionale. Gli amanti delle etichette lo hanno battezzato Anni di Piombo. Ma sono stati anni di sangue, di esplosivi, di golpe tentati, di terrorismi, di tragedie. Tutto questo, certo. Pero’, pero’, non dimentichiamolo mai: sono stati anche gli anni della resistenza civile, della società civile, del sogno civile di un Paese normale, in cui tutti potessero vivere e prosperare, secondo equità e in piena dignità.
La strage di Piazza Fontana è la madre di tutte le sue sorelle: genera altre stragi a lei sorelle, se non nelle modalità, sicuramente nell'impossibilità di stabilire con piena certezza le responsabilità, i colpevoli, i mandanti, gli esecutori materiali. Credo che tutti noi che ci siamo riuniti qui, dal primo all’ultimo, riteniamo una vergogna, storica e civile, che più di 50 anni dopo i fatti un'intera nazione sia costretta a dire come fece Pasolini "Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969" - e in realtà non poterli pronunciare, quei nomi. Perché la palude della storia, anche giudiziaria, ha impedito a tutti di condannarli e ha promosso la sopravvivenza non della memoria, ma dell'indignazione. Sono 53 anni che l'Italia è indignata, che Milano è indignata. E quell'indignazione è il muro più inscalfibile che la strage di Piazza Fontana ha eretto.
Mi capita talvolta di andare su YouTube a rivedermi le immagini incredibili dei funerali per i morti della strage, il 15 dicembre 1969, a tre giorni dall'attentato. Dovremmo celebrarli con una cerimonia apposita, ogni anno, ma forse li celebriamo sempre: il 12 dicembre onoriamo la memoria dei morti, ma anche la reazione dei vivi. C'è da rimanere attoniti a guardare le immagini sfocate, in bianco e nero, di quei funerali. 300mila persone a ridosso del sagrato del Duomo, in un silenzio impressionante. Gli sguardi, pieni di indignazione e di dignità, delle donne e degli uomini, di qualsiasi ceto sociale, di ogni età e provenienza. Diciamolo: quei funerali hanno contribuito in maniera significativa a salvare la democrazia nel nostro Paese. Non c'erano ideologie a dividere quella moltitudine composta, quell'eroismo anonimo, quel desiderio di pace e quella sconfessione dell'odio. Milano ferita era l'Italia ferita; Milano che resisteva in quel modo era l'Italia che avrebbe resistito.
La strage aveva colpito persone comuni, lavoratori, imprenditori, proprietari, pensionati. Scrive il giornalista Giacomo Di Girolamo, in un bel libro sulla storia d'Italia, che si intitola "Dormono sulla collina": "Dov’è Pietro che vende bestiame? E Carlo, il nonno di Elisabetta? Dov’è Luigi: cerca ancora i suoi clienti? E Paolo, che non ce la faceva a riposare? Dov’è Angelo, padre di undici figli? Dove sono Giovanni, Attilio, Gerolamo? Il gestore del cinema, il macellaio, l’agricoltore. Cercateli, cercateli in piazza Fontana. Sono entrati in una banca, sono usciti a pezzi. In un tappeto di vetri rotti. Le bombe sono la grammatica della storia patria: Piazza Fontana, Brescia, la stazione di Bologna". Queste le parole di Di Girolamo.
E' vero, ma solo in parte. Perché la storia patria l'hanno fatta soprattutto le italiane e gli italiani che, a quelle bombe, hanno dato una risposta. Una risposta che misuriamo oggi: un Paese che ha superato la tempesta di dieci anni di ideologie feroci, nel quale il patto Costituzionale ha retto e in cui la speranza di libertà e giustizia sociale è viva e attuale.
“A tutti coloro che si sono ricordati di non dimenticare" è la dedica di uno dei libri di inchiesta più importanti su Piazza Fontana, "Il giorno dell'innocenza perduta" dello storico Giorgio Boatti.
Guardate, se non c'è sentimento, celebrare la memoria è un esercizio vuoto! È pura retorica. Ma io sfido chiunque a venire qui, sempre in questo luogo, il 12 dicembre di qualsiasi anno, e a dire che si sta facendo un esercizio retorico.
E credo che tutti noi, tornando a casa, dobbiamo dire ai nostri ragazzi, ai più piccoli, cos'è successo in piazza Fontana. Perché è importante. Non smetterà mai di essere importante.
Grazie di esserci stati, oggi.
Non è scontato, al giorno d'oggi, essere qui. Ma è giusto essere qui, in un posto in cui si è fatta la storia dell'Italia, falcidiando i milanesi, falcidiando gli italiani. 17 morti, 88 feriti.
53 anni dopo siamo ancora qui a ricordare, a testimoniare. Testimoniamo che l'inizio di una parte drammatica della storia italiana è avvenuto in questo luogo, nel pomeriggio del 12 dicembre 1969. Più di mezzo secolo fa. Un altro mondo, in pratica; però: il nostro mondo. Veniamo tutti da lì. Perché la strage di Piazza Fontana, questa piazza, questo selciato su cui stiamo ancora oggi, ha inaugurato davvero un nuovo periodo nella vicenda nazionale. Gli amanti delle etichette lo hanno battezzato Anni di Piombo. Ma sono stati anni di sangue, di esplosivi, di golpe tentati, di terrorismi, di tragedie. Tutto questo, certo. Pero’, pero’, non dimentichiamolo mai: sono stati anche gli anni della resistenza civile, della società civile, del sogno civile di un Paese normale, in cui tutti potessero vivere e prosperare, secondo equità e in piena dignità.
La strage di Piazza Fontana è la madre di tutte le sue sorelle: genera altre stragi a lei sorelle, se non nelle modalità, sicuramente nell'impossibilità di stabilire con piena certezza le responsabilità, i colpevoli, i mandanti, gli esecutori materiali. Credo che tutti noi che ci siamo riuniti qui, dal primo all’ultimo, riteniamo una vergogna, storica e civile, che più di 50 anni dopo i fatti un'intera nazione sia costretta a dire come fece Pasolini "Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969" - e in realtà non poterli pronunciare, quei nomi. Perché la palude della storia, anche giudiziaria, ha impedito a tutti di condannarli e ha promosso la sopravvivenza non della memoria, ma dell'indignazione. Sono 53 anni che l'Italia è indignata, che Milano è indignata. E quell'indignazione è il muro più inscalfibile che la strage di Piazza Fontana ha eretto.
Mi capita talvolta di andare su YouTube a rivedermi le immagini incredibili dei funerali per i morti della strage, il 15 dicembre 1969, a tre giorni dall'attentato. Dovremmo celebrarli con una cerimonia apposita, ogni anno, ma forse li celebriamo sempre: il 12 dicembre onoriamo la memoria dei morti, ma anche la reazione dei vivi. C'è da rimanere attoniti a guardare le immagini sfocate, in bianco e nero, di quei funerali. 300mila persone a ridosso del sagrato del Duomo, in un silenzio impressionante. Gli sguardi, pieni di indignazione e di dignità, delle donne e degli uomini, di qualsiasi ceto sociale, di ogni età e provenienza. Diciamolo: quei funerali hanno contribuito in maniera significativa a salvare la democrazia nel nostro Paese. Non c'erano ideologie a dividere quella moltitudine composta, quell'eroismo anonimo, quel desiderio di pace e quella sconfessione dell'odio. Milano ferita era l'Italia ferita; Milano che resisteva in quel modo era l'Italia che avrebbe resistito.
La strage aveva colpito persone comuni, lavoratori, imprenditori, proprietari, pensionati. Scrive il giornalista Giacomo Di Girolamo, in un bel libro sulla storia d'Italia, che si intitola "Dormono sulla collina": "Dov’è Pietro che vende bestiame? E Carlo, il nonno di Elisabetta? Dov’è Luigi: cerca ancora i suoi clienti? E Paolo, che non ce la faceva a riposare? Dov’è Angelo, padre di undici figli? Dove sono Giovanni, Attilio, Gerolamo? Il gestore del cinema, il macellaio, l’agricoltore. Cercateli, cercateli in piazza Fontana. Sono entrati in una banca, sono usciti a pezzi. In un tappeto di vetri rotti. Le bombe sono la grammatica della storia patria: Piazza Fontana, Brescia, la stazione di Bologna". Queste le parole di Di Girolamo.
E' vero, ma solo in parte. Perché la storia patria l'hanno fatta soprattutto le italiane e gli italiani che, a quelle bombe, hanno dato una risposta. Una risposta che misuriamo oggi: un Paese che ha superato la tempesta di dieci anni di ideologie feroci, nel quale il patto Costituzionale ha retto e in cui la speranza di libertà e giustizia sociale è viva e attuale.
“A tutti coloro che si sono ricordati di non dimenticare" è la dedica di uno dei libri di inchiesta più importanti su Piazza Fontana, "Il giorno dell'innocenza perduta" dello storico Giorgio Boatti.
Guardate, se non c'è sentimento, celebrare la memoria è un esercizio vuoto! È pura retorica. Ma io sfido chiunque a venire qui, sempre in questo luogo, il 12 dicembre di qualsiasi anno, e a dire che si sta facendo un esercizio retorico.
E credo che tutti noi, tornando a casa, dobbiamo dire ai nostri ragazzi, ai più piccoli, cos'è successo in piazza Fontana. Perché è importante. Non smetterà mai di essere importante.
Grazie di esserci stati, oggi.
Carla Bocchi