Vecchi tram
- 22 maggio 2017 Editoriali
Il tram Sirietto della serie 7500 è stato eletto, a furor di popolo, il peggior tram che abbia mai circolato a Milano. Le lamentele dei passeggeri, oggettive e razionali, sono numerose e disparate.
I finestrini inesistenti e le incongrue temperature a bordo (ciabatte e costume da bagno durante i mesi invernali, contrapposti a sciarpa e doposci in estate) restano saldamente in testa alle rimostranze. Se a questo si aggiunge la salita in vettura di viaggiatori poco dediti all’igiene personale, l’impossibilità di cambiare aria può creare qualche problema con conseguenze talvolta tragicomiche: una moltitudine di gente pressata in un’ala del tram e un singolo viaggiatore che se la viaggia beato nel suo quasi personale convoglio.
La discriminante altezza dei sedili verso i brevilinei che, non potendo toccar terra, ingannano il tempo dondolando le gambe come bimbi su un seggiolone, si attesta in seconda posizione. A seguire, le minuscole dimensioni del corridoio di collegamento tra il fondo e la parte centrale del tram: il sottoscritto, ad esempio, non arriva al metro e settanta e pesa, forse, un sessantina di chili, eppure, per raggiungere il centro della vettura, deve avanzare cautamente a piccoli passi laterali per pestare meno piedi possibile ed essere costretto tutte le volte a scegliere a quale fila di passeggeri offrire la zona pubica o il tergo. Inoltre, l’obliteratrice di coda spesso non funziona e quando il tram è stracolmo si dispone solo due opzioni: o si cammina letteralmente sugli altri o si rinuncia a timbrare.
Ultimo, ma non meno importante, il lento, lentissimo e snervante incedere a scatti che valorizza la geniale pavimentazione interna in caso di pioggia, concepita con tutte le probabilità da un appassionato di pattinaggio o da un sadico: ammirare i viaggiatori che cercano disperatamente di mantenere l’equilibrio per non rovinare a terra è sempre uno spettacolo.
Il malcapitato Sirietto ha svolto le veci di agnello sacrificale ma anche gli altri nuovi giganti in circolazione non godono di buona reputazione tra i milanesi che sottolineano ciò che costruttori e commissionari non notano o non vogliono notare; abbiamo poche preferenziali e le nostre strade sono piccole. Già da solo, uno di questi tram è in grado di bloccare la viabilità di un’intera zona ma da quando sono stati introdotti il divieto di accodamento e di fermata in seconda posizione, file di immobili bestioni portano quotidianamente al collasso il traffico cittadino.
Questo ci porta all'ingannevole foto adiacente, scattata non a Milano ma San Francisco. Il mitico modello ’28, di dimensioni contenute ma spazioso all'interno, agile e in grado di districarsi tra le nostre anguste strade, elegante e con una meccanica indistruttibile. Vera e propria icona meneghina. Secondo un recente articolo del Corriere, ne circolano ancora 125 ma la flotta si riduce inesorabilmente di anno in anno.
Ho sempre creduto che uno dei motivi, validi, per rimpiazzare i vecchi ’28 fosse l’impossibilità di accesso ai disabili. E allora perché la città di San Francisco li ha comprati da noi? Sono forse insensibili all’argomento?
Al contrario. Sul sito della SFMTA (San Francisco Municipal Transportation Agency) le “Milan cars” vengono proprio decantate per l’ampio spazio cui possono godere le sedie a rotelle. Se aguzzate la vista, noterete infatti l’adesivo blu di riconoscimento. L’amministrazione ha ovviato al problema con la più semplice delle soluzioni: ha alzato le pensiline, conservando in questo modo la propria peculiarità turistica e venendo incontro a coloro che non sono in grado di deambulare autonomamente.
Milano ha da sempre il brutto vizio di liberarsi del passato per rivolgersi al futuro, come se conservare e preservare, rappresentassero dei retrogradi fardelli, capaci solo di precluderci la modernizzazione. A fine ‘800, dovevamo estenderci oltre le mura dei bastoni e abbiamo buttato giù non so quanti storici edifici. Con il boom economico, per non passar da sottosviluppati, si doveva viaggiare tutti in macchina e abbiamo coperto i Navigli. Con il nuovo millennio, per ostentare un’aria di provinciale internazionalità, sono giunti i titani di vetro e acciaio, che dall’alto, boriosamente deridono l’antica “Porta Nova”.
Il ’28 ancora resiste. Se la viaggia ormai da quasi un secolo col suo caratteristico sferragliare. Ne ha viste molte più di noi ma non si è mai dato arie, facendoci accomodare ogni volta sulle sue raffinate panche in legno. Caro ai milanesi e ammirato dai turisti, è stato più volte rivisto e modificato ma ci ha sempre trasportato senza lamentarsi. Sarebbe felice di scorrazzare insieme a noi anche nei prossimi anni e ancor più lieto, se gli venisse offerta la possibilità di trasportare anche i meno fortunati. Di trasportarci tutti. Verso il domani.
Riccardo Rossetti