A RILENTO LO SVILUPPO ECONOMICO DEL PAESE
- 15 luglio 2019 Cronaca
Le cause dell’insoddisfacente sviluppo economico del Paese, che da
decenni registra indici inferiori alla media europea, si debbono far
risalire al modello della nostra economia basata, da un lato sulla
rilevante quota pubblica, dall'altro sulla piccola e media impresa:
certamente virtuosa all’origine del boom, dal Dopoguerra agli anni ’70,
ma che non si è adeguata ai profondi cambiamenti che hanno percorso il
mondo globalizzato.
C'è però da chiedersi quanto il venir meno della grande industria in
Italia dipenda dalle nostre disattitudini e quanto viceversa
dall'attuazione di politiche economiche globali da parte dei potenti
players che reggono il gioco a livello mondiale.
La stizzita reazione di Macron sul caso Fincantieri-Stx potrebbe esserne l'ultimo tassello rivelatore.
L’acquisto straniero di tante aziende del ‘made in Italy’ non sarebbe
grave se a questo flusso di vendite corrispondesse un eguale flusso di
aziende italiane che acquistino all'estero. Purtroppo non avviene, in
quanto le dimensioni delle nostre aziende - pur essendo l’Italia ancora
la seconda potenza manifatturiera d’Europa - sono in genere troppo
piccole e non permettono di fare il salto che porti ad assumere
dimensioni adeguate, sopra i 15-20 miliardi di fatturato. Nella
classifica mondiale del tasso di sviluppo, non abbiamo più davanti a noi
i soliti Stati Uniti, Francia, Germania e Regno Unito ma anche
Svizzera, Olanda, Canada, Corea del Sud.
I difensori del ‘medio’ - aziende che operano in nicchie e diventano
‘multinazionali tascabili’- affermano, a ragione, che i distretti
industriali godono di ottima salute e che anche nel 2019 aumenteranno il
loro fatturato del 2,5%, dopo il piu' 7,7% degli ultimi due anni.
La crescita quindi prosegue - ha affermato il centro Studi e
Ricerche di Intesa Sanpaolo - così come il ritmo dell’export; la
produttività è salita nei sistemi locali più che nella media del
manifatturiero, l’adozione di tecnologie 4.0 ha avuto un buona
diffusione. In definitiva i distretti continuano a offrire ‘vantaggi
localizzativi’; il legame con il territorio favorisce innovazione e
internazionalizzazione e la logica dell’integrazione si estende anche a
specializzazioni come la cosmetica e l’automotive. Ma l’impressione è
che ci si trovi davanti a un difficile passaggio: oltre al fattore
dimensionale, ci sono da risolvere i problemi del capitale umano con
la crescente difficoltà a trovare operai specializzati e addetti 4.0,
e infine nella governance, i consigli hanno ancora amministratori per i
quattro quinti provenienti dalla regione in cui operano i distretti.
Se si aggiungono pecche tipicamente italiane quali burocrazia, scarsa
qualità dei servizi, lentezza della giustizia, evasione fiscale,
corruzione e quant’altro, si spiega perché siamo ancora a 4 punti di
distanza dal livello precrisi mentre i Paesi competitors hanno
abbondantemente superato quel livello.
Achille Colombo Clerici