Al Museo di via Menabrea 10 La macchina da scrivere di Ernest Hemingway

Durante la sua irrequieta esistenza Ernest Hemingway è venuto diverse volte a Milano.  Il ricordo di lui è inciso in una lapide di marmo che il Comune pose in via Armorari, sul fronte di un prestigioso palazzo d’epoca, a 50 metri dalla centralissima Piazza Duomo. Recita così: “Nell’estate del 1918 in questo edificio, adibito a Ospedale della Croce Rossa Americana, ERNEST HEMINGWAY ferito sul fronte del Piave, fu accolto e curato, così nacque la favola vera di “Addio alle Armi” (foto). Altre iscrizioni relative ai suoi passaggi si trovano a Bollate e a Lambrate.


Vissuto a cavallo delle due grandi guerre del XX secolo, il giovane americano ne fu il più appassionato e ostinato cronista, attraverso i suoi numerosi scritti.


Nato in periferia di Chicago nel 1899 a soli 18 anni, quando gli Stati Uniti entrarono nella Prima Grande Guerra a fianco delle Forze dell’Intesa, spinto da uno spirito battagliero chiese volontario di parteciparvi, ma per un difetto visivo venne escluso. Deciso ad essere presente sul campo di battaglia, riesce ad inserirsi nel corpo della Croce Rossa internazionale come autista di autombulanza e ottiene in questo modo di venire in Europa per “vedere la guerra da vicino”. Inizia così la sua vita avventurosa e ricca di imprevisti. In questo modo arriva a Milano e poi al fronte del Piave sul Pasubio, dove riesce anche a stabilire una collaborazione con il giornale locale “Ciao”. Ma a luglio ferito dalle schegge di una bombarda e dai proiettili di una mitragliatrice viene trasportato all’ospedale della Croce Rossa Americana di Milano, dove rimane ricoverato per tre mesi, ricevendo al termine la Medaglia d’Argento al valore Militare italiana. Finita la guerra ritorna in America accolto da eroe. Si trasferisce prima a Chicago e poi in Canada a Toronto, dove incomincia la collaborazione con il “Toronto Star”, che lo invia nuovamente in Europa. Diventa il più grande reporter di guerra. Spirito ribelle e testardo ama viaggiare. Ritorna in Italia, a Genova, per seguire la Conferenza Internazionale sull’economia, terminata con il famoso Accordo di Rapallo. Incontra i personaggi politici più in vista, tra cui Benito Mussolini e visita le nostre città di Aosta, Pisa, Sirmione, Cortina d’Ampezzo e Venezia e infine si trasferisce a Parigi, dove dedica gran parte della giornata alla stesura dei suoi scritti.


La macchina da scrivere preferita fu la Underwood, una delle prime portatili, prodotta in Usa (foto). Con l’ausilio di questo strumento scrive i suoi grandi capolavori, tra cui “Addio alle armi”, “Fiesta”, “Il vecchio e il mare”, “Per chi suona la Campana”, ricevendo il premio Pulitzer nel 1953 e il Premio Nobel per la letteratura nel 1954. Purtroppo la sua vita finisce presto e in tragedia, a 62 anni, affetto da prematura malattia mentale, ma questo non toglie nulla alle sue innate e grandi capacità espressive. Ho voluto ricordare alcuni passaggi importanti della sua esperienza da inviato di guerra, perché nei vari spostamenti nel suo bagaglio non mancava mai la fida cassetta che conteneva la piccola Underwood, maneggevole e agile, formata da sole tre file per complessivi 28 tasti (84 caratteri) più tre comandi. Un esemplare di questa macchina costruita nello stabilimento di Hartfort nel Connecticut (Usa) è esposta al Museo della Macchina da Scrivere, via Menabrea 10 di Milano, a disposizione dei visitatori (tel. 3478845560).


Molto robusta, ancora oggi è ben funzionante. E chi desidera può provare l’emozione di mettere le dita su una tastiera usata da uno dei maggiori scrittori del secolo scorso, che ci ha emozionati con i suoi capolavori, trasformati anche in lungometraggi di grande successo dalla cinematografia internazionale.


Giusi De Roma 





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