LA GLOBALIZZAZIONE IN CRISI 

Il Covid-19 sta  mettendo in crisi i ritmi, gli schemi e le regole della globalizzazione. Partendo dalla Cina il contagio segue le stesse vie della globalizzazione: commercio, trasporti, turismo con ricadute di ordine economico e sociale.

Il commercio globale continua a subire un arretramento anche per altri fattori: le tensioni tra Stati, la Brexit, i rigurgiti di nazionalismo, populismo, protezionismo e, per ultimo, il diffondersi del work working e dei servizi online.  

In Cina molte aziende occidentali negli ultimi venti anni hanno delocalizzato maggiormente i propri impianti e lo stesso Paese orientale è il maggiore fornitore al mondo di prodotti a basso costo, in particolare nella componentistica meccanica e nel tessile. Non a caso l'Europa e gli Stati Uniti d'America sono l'epicentro del contagio, ovvero i Paesi che hanno delocalizzato più di tutti e che dipendono dalle forniture cinesi. 

Negli ultimi 5 anni, tuttavia, 253 aziende europee, specialmente di Francia, Italia, Regno Unito hanno iniziato a ricollocare nel Continente i propri impianti per diversi motivi: di riorganizzazione, per accorciare i tempi di consegna, per migliorare la qualità del prodotto, in seguito all'obbligo di scrivere in etichetta la provenienza della merce (fonte Eurofound). 

Questa tendenza si sta consolidando, specialmente per la crescita nei giovani di una nuova sensibilità rispettosa delle regole del fair trade, commercio equo e giusto. Nello stesso tempo anche in Cina si avvertono i segni di un cambiamento nella produzione proiettata agli scambi internazionali. Tuttavia, molti evidenziano che le regole dell'Organizzazione Mondiale del Commercio da tempo non vengono rispettate e che la stessa organizzazione non è in grado di imporsi sugli Stati, per cui auspicano una riforma dell'OMS. 

Col diffondersi del Coronavirus la crisi dei trasporti si osserva in modo drammatico nel traffico aereo, che sta subendo un vero tracollo. Secondo la IATA (International Air Trasport Association) nel mese di aprile c'è stato un calo del traffico aereo di -94,3% rispetto al 2019 con 4,5 milioni di voli cancellati. Meno merci da vendere e scambiare e meno viaggi per turismo o per affari. Le compagnie aeree sono in sofferenza, da più di due mesi. 

Dalla Cina non arriva la componentistica nemmeno per le attività strategiche, gran parte dei dipendenti sono in cassa integrazione, si chiedono aiuti di Stato in miliardi di euro o di dollari. La paralisi dei trasporti dell'aria si accompagna a quella terrestre, di conseguenza la fonte primaria del carburante, il petrolio si accumula nei depositi di stoccaggio pericolosamente pieni. Bisogna per forza vendere, per alcuni Paesi è l'unica fonte di profitto. Quindi si vende a sottocosto: il prezzo del petrolio a febbraio da 54 dollari al barile è sceso a 37,2 dollari. Il calo trascina in basso anche i prezzi delle materie prime, per cui specialmente i Paesi in via di sviluppo ne subiscono le conseguenze. In questi Paesi, ma gradualmente anche negli altri più avanzati decrescono il lavoro e l'occupazione, il reddito individuale, i consumi e la domanda dei beni. Siamo così entrati nella peggiore recessione dal 1930 con una decrescita mondiale prevista nel 2020 di -3,3%, mentre pochi mesi prima della pandemia la percentuale veleggiava sul +3,3%, secondo  il Fondo monetario internazionale. 

La percentuale annua del Pil pro-capite nei Paesi più ricchi da positivo che era nel 2019 vede flettersi in negativo nel 2020:  di circa il 7% nell'Eurozona, del 9,5 in Italia, dell'1,2 in Cina. (Fonte Fmi). L'Africa subisce il contraccolpi peggiori della caduta delle esportazioni delle materie prime e della pandemia, poichè qui mancano strutture sanitarie e i numeri dei morti per il contagio non si riescono a contare. Inoltre, l'Onu prospettava nei i giorni scorsi "carestie di proporzioni bibliche nel Continente africano".

In conclusione, con la crisi della globalizzazione portata dal coronavirus le disuguaglianze si allargano, aumenta il divario tra ricchi e poveri, ma nello stesso tempo la pandemia ci costringe a ripensare la globalizzazione nei termini o nei binari della solidarietà e di un modello di prosperità sostenibile.


Luciano Marraffa

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