Mario Cervi
- 09 aprile 2017 Cronaca
Capitava talvolta che ci dessimo appuntamento in un bar posto sotto i portici di via Vittor Pisani, vicinanze stazione Centrale e non lontano dalla casa dove lui: Mario Cervi, abitava.
In quel locale di stampo antico, tutto legno di caldo colore marrone che a me tanto ricordava quello descritto da Ed McBain all'inizio del suo romanzo "Una città contro", l'anziano giornalista usava bere un Bloody Mary, bevanda a base di vodka e succo di pomodoro, la stessa bevanda che amava bere il Vecchio, capo del commissario Sanantonio. E con Sanantonio - Frédéric Dard Cervi aveva in comune anche l'anno di nascita: 1921, e la professione giornalistica che pure il grande scrittore francese all'inizio della sua carriera ebbe modo di svolgere ammodo. Mario Cervi era nato a Crema il 25 marzo (1921) e si era trasferito ben presto a Milano, laureandosi in legge. Ufficiale di fanteria durante la seconda guerra mondiale, l'8 settembre 1943 si trova in Grecia e lì viene fatto prigioniero dai tedeschi. Ad Atene conosce Dina, una bella ragazza che diventerà poi sua moglie e lo sarà fino alla vigilia di Natale del 2007, anno in cui morirà. "Da allora non trovo pace", dirà spesso il giornalista, che la raggiungerà otto anni dopo, il 17 novembre 2015. Mario Cervi è stato un grande giornalista, cui soltanto il carattere modesto gli ha impedito di farsi notare come meritava. Cervi inizia la sua carriera come cronista del Corriere della Sera, per poi essere promosso inviato speciale di cronaca giudiziaria. Nel 1956 è presente alla Crisi di Suez, nel 1967 al golpe dei colonnelli in Grecia, nel 1973 a un altro golpe: quello in Cile di Augusto Pinochet, uno fra i più sanguinari despoti che la Storia annoveri, e che di augusto possedeva soltanto il nome. Fu anche uno dei tre giornalisti presenti a Santiago il giorno della morte di Salvador Allende, che scrisse col proprio sangue la fine della propria vita a differenza della sua omonima Isabel che le storie della propria vita le scriveva con l'inchiostro. E poi eccolo, nel 1974, documentare l'invasione di Cipro da parte della Turchia. Sempre nel corso di quell'anno, mese di giugno, Cervi lascia il Corriere della Sera insieme a Montanelli e ad altre illustri firme per fondare un nuovo quotidiano: "Il Giornale Nuovo", più orientato a destra rispetto a quello di via Solferino che la proprietà Crespi e la direzione Ottone aveva fatto invece orientare un po' troppo a sinistra. Pur non avendo più un'età giovane, il gruppo di celebri fuoriusciti aveva sempre l'argento vivo addosso, e poteva quindi controbattere l'ottone del Corrierone con l'oro di molti suoi articoli scritti col piombo della composizione e non dal piombo della decomposizione che gli estremisti di quel triste periodo detenevano. Al "Giornale" Mario fa l'editorialista e l'inviato, prendendo a pubblicare: dal 1979 con "L'Italia Littoria (1925-1936) ben 13 volumi di storia firmati insieme a Montanelli ma che di fatto fu lui soltanto a stendere perché Indro avendo molte altre incombenze da svolgere non aveva tempo anche per questo impegno, tanto che a volte era sempre Cervi a scrivere editoriali a firma Montanelli. Una osmosi perfetta, un po' come quella intercorrente fra Luigi Pirandello e il figlio Stefano, autore quest'ultimo di molti racconti firmati dal padre e indistinguibili in quanto a stile, o quella tra Frédéric Dard-Sanantonio e il figlio Patrice, continuatore quest'ultimo della saga del commissario e ben poco distinguibile nella forma da quella di papà Dard. Come Montanelli anche Cervi aveva una sua "Stanza" in un settimanale, nel caso suo questo fu "Gente", dove per molti anni parlerà di fatti importanti a gente che lo era di meno e la quale aveva bisogno di un linguaggio comprensibile per potere capire. Quando Montanelli lascerà "Il Giornale" per divergenze con la proprietà andando a fondare un nuovo quotidiano: "La Voce", Mario Cervi pur non essendo convinto della riuscita dell'operazione lo seguirà per amicizia e stima, sebbene l'avventura durerà un anno soltanto: dal 1994 al 1995. Alla sua chiusura Indro farà ritorno al Corriere, mentre Mario prenderà a collaborare con "La Nazione" e "Il resto del Carlino", per poi fare ritorno al Giornale come editorialista. Ne assumerà la direzione quando questa verrà lasciata da Vittorio Feltri, prendendo a scrivere articoli di fondo anche violenti nel tono e nello stile che non faranno rimpiangere quelli dei suoi predecessori. Questo dal 1997 al 2001; poi, nell'anno del suo ottantesimo compleanno e della morte di Montanelli, Cervi si dimetterà dalla direzione per lasciarla a Maurizio Belpietro, dedicandosi alla rubrica di posta coi lettori fino alla vigilia della sua morte avvenuta il 17 novembre 2015. Lo stile di Mario Cervi, piacevole da leggere, è una mescolanza di cultura letteraria e giornalistica la quale appaga il lettore lasciandolo soddisfatto, e convinto dell'onestà intellettuale di chi scrive e descrive. Nobile nella scrittura come lo fu nella sua figura signorile, Mario Cervi resterà nel ricordo di chi lo ha conosciuto così come nelle moltissime pagine da lui scritte e per buona parte trascritte in molti volumi di Storia e non solo.
Antonio Mecca