POSSIAMO ANCORA SOGNARE L'EUROPA?

LA FIDUCIA DI ENRICO LETTA E LE PREOCCUPAZIONI DI LUCREZIA REICHLIN

François Mitterrand ed Helmut Kohl che si stringono per mano nel cimitero dove giacciono i corpi di migliaia di francesi e di tedeschi morti combattendo l’un contro l’altro per la conquista di pochi chilometri di frontiera oggi inesistente, è la foto dell’Europa di ieri e dello straordinario risultato ottenuto, una pace continentale che dura da quasi tre quarti di secolo. Ma la foto dell’Europa di domani è di una potenza che può conquistare il mondo non con la forza delle armi o dell’economia ma della sua civiltà democratica e liberale.
È il messaggio di speranza che Enrico Letta, già presidente del Consiglio e oggi direttore della Scuola di Affari internazionali Sciencespo di Parigi e presidente dell’Istituto Jacque Delors, ha offerto alle centinaia di esponenti della cultura, dell’imprenditoria, dell’alta borghesia e del patriziato, riunite come da tradizione annuale nelle sale del Castello Confalonieri Belgiojoso, per l’Incontro di Caidate  -  giunto alla XXVI edizione - organizzato dalla famiglia Barbiano di Belgiojoso. Con lui Lucrezia Reichlin, professore alla London Business School, editorialista di economia, che non ha 
nascosto  le sue preoccupazioni sul futuro di uno dei pilastri dell’Europa Unita, la moneta unica, e sulle normative inadeguate che la regolano .
A presentare il tema “Possiamo ancora sognare l’Europa?” e i relatori, l’ambasciatore Sergio Romano, come da tradizione. Romano si è soffermato a ricordare la recente scomparsa di Gaetano Barbiano di Belgiojoso, figura insigne del mondo milanese e lombardo, impegnato in una intensa attività sociale e culturale, che agli Incontri ha dedicato passione e intelligenza: Ci legava - ha detto Achille Colombo Clerici, presidente di Assoedilizia e dell’Istituto Europa Asia - la comune passione per Milano, la sua terra, la sua gente.
Letta svolge alcune originali osservazioni. Nel 1966, quando nacque, sulla Terra vivevano circa 3 miliardi di persone; saranno 10 miliardi nel 2060, quasi tutte nate in Asia, in Africa, nelle Americhe. E quasi tutte con pochi diritti nel campo del lavoro, con forti limitazioni nelle libertà individuali, di insegnamento, di informazione; in Paesi dove la laicità dello Stato è utopia e vige la pena di morte. Ecco, con le parole di Bergoglio, primo papa non europeo dopo molti secoli, “la responsabilità degli europei è doppia oggi rispetto al passato” per tentare di avere, con l’educazione e la testimonianza, un mondo 
migliore. Un mondo insicuro in cui, con la crisi irreversibile del “gendarme Usa”, la “normalità” nella quale eravamo abituati a vivere, sta diventando una pausa tra una serie di crisi. Con queste dobbiamo abituarci a convivere.
Per l’Italia, quale ruolo? Fondamentale se riusciremo a trasferire all’intero Paese quella capacità di trovare soluzioni tipica del singolo italiano. Perciò dobbiamo far sentire il nostro peso nell’”asse renano” franco-tedesco.
Se la politica è fondamentale per il presente e il divenire dell’Europa, un pilastro è costituito dalla moneta unica, l’euro. 
Reichlin ne ha sintetizzato la storia. 
Nato da un accordo “politico” tra Francia e Germania ( aggiungiamo: la prima dotata della "garanzia atomica" e del diritto di veto all'Onu, l'altra della potenza economica)   in concomitanza con la riunificazione di quest’ultima, è stato codificato dal Trattato di Maastricht e si è dimostrato inadeguato a fronte della grande prova della recessione del 2007: la quale è partita dagli Usa, ma ha visto quel Paese superarla mentre in Europa si trascina ancora 
generando quel fenomeno di rigetto da parte degli elettori che viene indicato come “populismo” o "sovranismo", caso Catalogna ultimo della serie.
Il banco di prova è stata la Grecia (ma potevano esserlo l’Italia, la Spagna, il Portogallo). Le regole dell’Euro si basano, sostanzialmente sui pilastri: limiti al deficit di bilancio ed al debito sovrano, niente aiuti da uno Stato a un altro, piombatura del sistema bancario,  niente emissione nazionale di nuova moneta. In tali condizioni la ristrutturazione del debito pubblico si traduce nel ripagare i creditori solo in parte, via non praticabile anche per l'interconnessione del sistema finanziario internazionale. 
Quanto al risanamento dei sistemi bancari, alcuni stati, fra cui la Germania, hanno potuto procedere alla copertura della massa dei derivati e dei non performing loans, addossandone il carico alla spesa pubblica.
Altri, come l'Italia, non l'hanno fatto a causa dell'elevato ammontare del debito pubblico e, avendo rinviata l'operazione, si trovano oggi a far i conti con le regole del "bail in", che impediscono l'aiuto di stato. 
In concreto: un Paese in crisi non può, in pratica, uscire dall’euro, ma non può neppure essere aiutato ad uscire dalla crisi stessa.
E non tutti gli stati, e l'Italia in particolare, sono fuori pericolo.
In Europa, tutti concordano che è necessaria una riforma di tali regole. Ma si confrontano due scuole di pensiero: in estrema sintesi, quella tedesca che punta su più attivi meccanismi di mercato e quella francese  che punta ad avere una condivisione dei rischi (i Paesi più forti si accollano i debiti dei più deboli, sia pure con determinate garanzie). 
Secondo alcuni, siamo partiti con l'euro nella speranza di una Germania più europea, ma il risultato è una Europa più tedesca.
Se non si trova un accordo, è la conclusione sconsolata di Reichlin, la 
moneta unica rischia di saltare e di far fallire il grandioso sogno di un’ 
Europa faro di civiltà per il mondo. 

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