Se il centro di Milano non ci appartiene più
- 25 gennaio 2017 Cronaca
Coloro che conoscono un po’ di storia meneghina ma anche chi non è troppo attempato come il sottoscritto, sanno e ricordano che il centro di Milano, fino a non troppi anni fa, era un continuo brulicare di persone, di giorno e di sera.
Un incessante viavai di gente che per secoli ha contribuito a rendere Milano celebre in Italia e all'estero. Stendhal, James, Dickens, Melville, Verga e altri illustri scrittori, stranieri o italiani, hanno lasciato numerose testimonianze del proprio viaggio qui da noi, con una nota di riguardo per la festosa e coinvolgente atmosfera serale del centro storico.
Partendo dalle botteghe popolari delle vecchia Corsia dei Servi, attraverso gli storici caffè letterari della Galleria, fino ai teatri e ai cinema, il cuore della città ha sempre svolto il ruolo di una seconda casa per noi milanesi, soprattutto dopo il tramonto.
Poco tempo fa, discorrendo con un amico, mi è stata posta una domanda rivelatrice nella sua allarmante semplicità: - Perché dovrei andare in Vittorio Emanuele la sera?
La risposta è stata tanto ovvia quanto cruda: non esiste motivo per recarsi in centro perché dopo una certa ora è tutto chiuso.
Oramai, Il salotto di Milano, ma qualificarlo ancora come tale risulta ridicolo oltre che penoso, e l’adiacente C.so Vittorio Emanuele, considerati e trattati negli ultimi anni alla stregua di un mega store per turisti, hanno definitivamente solennizzato l’evidenza: dopo una certa ora si tira giù la claire.
Una trasformazione avvenuta sotto i nostri occhi che ha condotto all'unica conclusione possibile. Il centro città non ci appartiene più.
Ridotti a comparse in un patinato spot pubblicitario per l’estero, in nome di un turismo commerciale, che con inarrivabile superbia e altrettanta ignoranza ha affibbiato un prezzo alle tradizioni, al decoro e alla dignità di un luogo, siamo scivolati dolcemente, quasi senza accorgercene, fuori da casa nostra.
Non vi è spazio per il dubbio; i grandi marchi della moda, la Lego e il futuro Apple store, contribuiscono e contribuiranno a far giungere la gente a frotte qui da noi esattamente come nelle altre grandi città dove i centri urbani stanno clonandosi con DNA di matrice aziendale. Così, con la scomparsa di folklore e peculiarità nostrane, Stendhal, non potendo gustare e celebrare la sua adorata e milanesissima barbaiada, si limiterebbe a descrivere la sottile differenza della schiuma nel caffè tra lo Starbucks (da notare come nel correttore automatico di Microsoft World sia inclusa la parola Starbucks, naturalmente maiuscola) di Grenoble e quello di Milano, in procinto di arrivare a breve al Cordusio (termine ignoto al medesimo correttore) e futuro artefice della piantumazione di Piazza del Duomo con palme e banani, con tanto di benedizione da parte della nostra soprintendenza, probabilmente sotto l’effetto di troppa caffeina quando ha rilasciato il benestare. Melville non si soffermerebbe a descrivere la graziosa varietà delle nostre botteghe ma acquisterebbe la solita biancheria intima per la sua signora da H&M. Ma in compenso, Henry James trarrebbe una gran fonte di ispirazione per uno dei suoi terrificanti racconti dallo spettrale e sinistro deserto umano che piomba su Vittorio Emanuele al calar del sole.
Carichi come somari di borse tracimanti capi d’abbigliamento, gli stranieri forse neanche notano la medievale piazza Mercanti cadere a pezzi. Non lo notiamo neppure noi. E la panacea per ogni male, dato che gli enti locali piangono perpetua miseria, pare sia sempre l’intervento privato: un terreno delicato e aleatorio dove il confine tra libera concorrenza e svendita del proprio patrimonio culturale è fin troppo sottile. Un confine che abbiamo già oltrepassato da tempo, notato da pochi e taciuto da molti.
Forse un giorno ci spingeremo così oltre da vendere l’intero ottagono della nostra Galleria per farci un grande centro commerciale o un hotel con casinò e spa. Vedo già la pubblicità: Regalati un’esperienza di soggiorno unica nel Salotto di Milano.
Intanto, è già da un pezzo che i milanesi nel loro salotto non possono accomodarsi e Dio non voglia che qualcuno abbia già pensato al suddetto progetto o che siano le mie parole a insinuare il bislacco proposito. Forse dovrei depositare l’idea.
Riccardo Rossetti