LE MIE VACANZE 3

Una delle mete più frequentate nei nostri soggiorni lucani degli anni Sessanta e successivi era Monticchio, distante da Atella una quindicina di chilometri, con la strada che si inerpica fino in cima a un monte per poi discendere in una serie di tornanti fino al lago piccolo. Mi rimasero in mente fin da subito le verdi fronde degli alberi che dal bosco sovrastano la strada, mescolando - miscelando quasi - luce e ombre fino a produrre una luce da interno di cattedrale, come un che di sacrale visto da un fedele, e non da un sacrista che spesso - proprio perché dietro le quinte - non vede con l'ausilio dell'anima ma registra solo con gli occhi. Si arrivava poi al laghetto, un autentico gioiello verde smeraldo, un lago che seppur di piccole dimensioni era navigabile in battello, e con il corollario di pedalò e di barche. Era sconsigliato però ai bagnanti perché c'era il fondato pericolo di affondare perché risucchiati nel fondo. Sull'altura di fronte una bianca costruzione risalente al secolo VIII ospitava un monastero ospitante una congregazione monacale nonché un albergo-ristorante. Sorgeva accanto a una grotta dalla quale venivano posti in vendita salami, formaggi, vini e bibite varie. Monticchio consisteva in una serie di bancarelle vendenti modesti souvenir, dolciumi, bottiglie di liquore. C'era poi un buon ristorante e, prospiciente la riva del lago, un paio di bar-ristorante specializzati in cucina locale. A quei tempi si poteva percorrere il periplo del lago anche con l'auto, contribuendo così a diluire l'aria pulita con i gas di scarico dei motori a scoppio. Quell'aria definita ottimale perché mai fredda né calda, che spesso una leggera brezza sembrava carezzare e quasi pettinare. In quei pomeriggi estivi la musica proveniente dalle radio e dai juke-box dava all'ambiente una sensazione di gioia, che se per i vecchi si stingeva in tristezza, per i giovani invece era foriera di allegria. Con l'auto si procedeva poi fino ad arrivare al lago grande, la cui superficie grigiastra pareva quella di un lago infernale a differenza di quella verde del lago piccolo che sembrava ospitare fate fiabesche. Poi ecco arrivare a un bivio. A sinistra si poteva prendere per la città di Melfi; a destra prima di tornare al lago piccolo una stradina conduceva in salita alla badia. C'era anche, a quei tempi, una funivia che arrivava nei pressi del convento passando sopra il lago piccolo, funivia che non avrebbe più avuto un seguito perché dopo il terremoto del 1980 si preferì abolirla. 
Giunti nel piccolo parcheggio antistante la grotta neviera, ci si poteva dissetare con l'acqua di una fontanella lì vicina oppure bevendo una birra o un'aranciata, o rifocillare con del buon pane casereccio accompagnato da ottimi salumi. E da lì, un breve sentiero selciato conduceva all'ingresso del monastero, per poi salendo una ripida scalinata arrivare alla parte superiore ospitante l'antica chiesa, edificata nel Settecento. Ai lati dell'altare era possibile salire - quando non era in atto la messa - fino alla parte alta dove le antiche rocce affumicate dall'antica eruzione ancora recavano il segno annerito provocato dal vulcano Vulture in eruzione. Un'eruzione che secondo l'ingenuo convincimento di mia madre era stata spenta da quaranta giorni e quaranta notti di pioggia continua. Una grande statua di San Michele Arcangelo vegliava sopra l'altare, pronto ad agitare la sua spada contro il diavolo sempre in agguato. Mentre una statua molto antica della Madonna addolciva con le sue fattezze di giovane donna quell'ambiente pregnante di mistero.
Antonio Mecca

L'INGLESE CANTANDO

Milano in Giallo

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