FAVOLE DA TRENO E TRENI DA FAVOLA

C'era una volta, tanto ma tanto tempo fa, un uomo che chiameremo Camillo e che ogni giorno, a Milano, saliva su un treno delle Ferrovie Nord per recarsi al lavoro.

Nell'intento di leggere qualche pagina del libro, era costretto spesso a cambiar posto, per sfuggire alle infinite sciocchezze che i vicini gli imponevano senza ritegno, urlando nei propri telefonini già alle sette di mattina. Ma la cosa che più lo faceva imbestialire erano i piedi di tanti ragazzi che si allungavano disinvoltamente sul sedile di fronte, a cercare un agio che difficilmente si sarebbero concessi sul proprio divano di casa.
Una mattina sì e l'altra pure, il nostro Camillo non poteva fare a meno di riprendere qualcuno, con una formula che aveva escogitato apposta per la circostanza. Né troppo aggressiva, né troppo vaga, ma adatta allo scopo.
"Dove tu ora tieni i piedi, domani mi ci siedo io" - ammoniva, asciutto e senza troppi complimenti. Il tono con cui usava sciorinarla era deciso e gli occhi ben puntati su quelli del malcapitato di turno. Il più delle volte, bastava un secondo affinché il colpevole si ravvedesse e tirasse indietro le sue appendici. Altre volte, bisognava ribadire meglio il concetto, affinché avesse il tempo di riaversi dalla sorpresa del rimbrotto, ne realizzasse il senso e si rimettesse in riga.
Fatto sta che Camillo vedeva ovunque sedili sporchi che ospitavano impropriamente arti inferiori “scarponati” e controllori beoti che sembravano non accorgersene, anche perché i furbastri rientravano subito nei ranghi appena li scorgevano all'orizzonte. Se proprio era sfuggita la divisa in avvicinamento, ricevevano solo un bonario invito a sgomberare la postazione, nulla di più. Una bonomia che essi ricambiavano fingendo di spazzolare l'impronta delle suole rimasta impressa sul sedile, per ricalcarla nuovamente un attimo dopo lo scampato pericolo.
Capitò così pure quella sera sul regionale veloce, che riportava a casa i pendolari e qualche turista raccolto lungo il tragitto. Il suo occhio lungo scorse, nella fila accanto, ben quattro "fette" di presunti bipedi trentenni di specie umana, affossate all'unisono, in un irriverente colloquio con la buona educazione. Un'occasione ghiotta, di fronte a cui non si poteva fingere indifferenza. Per giunta, a farne le spese era una poltroncina singola di quelle su cui egli usava preferibilmente accomodarsi. Uno dei giovinastri si giustificò indicando lo zaino che, in quel frangente, separava le proprie scarpe dalla superficie del sedile. L'altro, invece, nicchiò decisamente, faticando a capire la relazione fra i suoi piedi e quell’insolita lamentela di un viaggiatore.
Non se ne accorse nessuno dei tre. Forse solo il dirimpettaio di Camillo, preso anch’egli un po' alla sprovvista da quel diverbio, vide il controllore materializzarsi alle loro spalle.
"Ma voi non fate mai le multe quando pescate qualcuno coi piedi sul sedile?" esordì Camillo, appena gli fu davanti, alzando un po' la voce per accentuare l'enfasi e richiamare l'attenzione degli altri compagni di vagone.
"Sì, sì, come no...",  replicò quello. Ma si limitò a fare un gesto con la mano verso i due per farglieli spostare e chiese loro il titolo di viaggio. Poi toccò a Camillo mostrare il biglietto e, nel farlo, rincarò la dose:
"Lei ha visto distintamente i piedi sul sedile, perché non fa la multa come sarebbe suo compito fare?"
Silenzio del controllore che, con un filo di imbarazzo, si defilò, avanzando nella verifica dei biglietti.
"Lo sa che se omette di fare la multa non scoraggia affatto i trasgressori, mentre gli altri hanno diritto a viaggiare su sedili non danneggiati e lordati..." , insisteva Camillo con puntiglio.
"Si faccia i fatti suoi", reclamò interessato uno dei due campioni di buone maniere, zittito all'istante da un... "Lo sto appunto facendo!".
Determinato a non rassegnarsi, l’uomo zelante lanciò un nuovo guanto di sfida all'addetto ferroviario, rimasto quasi immobile e senza parole: "Io dico che al suo capo non farà tanto piacere essere rimproverato per colpa sua".
"Ma lei chi è, scusi?" chiosò un po' esitante e un po' stizzito l'uomo in divisa.
"Io... no… non sono nessuno... non voglio che questo caso sia trattato come un'eccezione. Sono uno qualunque... che segnalerà a Ferrovie Nord e all'assessore regionale ai trasporti che non fate multe e perciò si diffonde sempre più l'abitudine a sporcare i sedili… tutt’al più costa solo un misero richiamo, quando proprio si è colti in flagranza... Lo farò, può contarci… e citerò anche quest’episodio!".
"Qualcuno deve pur essere…", sibilò un sorvegliante giurato, arrivato sul posto con irreprensibile solerzia e suggestionato, forse, dall’abbigliamento distinto e dal fare sicuro e misurato di quell’uomo che protestava.
La discussione finì lì, ma qualche pensiero continuò a ronzare ancora in testa all'uomo di Ferrovie Nord e in quella degli altri che, involontariamente, avevano assistito e cominciavano a mugugnare. Se quei due birbantelli avessero imparato la lezione, magari l'avrebbero trasmessa anche a qualcun altro, osava sperare il nostro.
Fatto sta che, da allora, quel controllore si era stampato bene in mente il volto di Camillo e, quando lo vedeva sul vagone, le multe ai zozzoni le faceva davvero. Probabilmente ne aveva indicato la faccia pure ad altri suoi colleghi, perché non conveniva sfidare la sorte, con uno che poteva essere chissà chi e andare a reclamare presso qualche loro superiore di cui era amico.
E tutti vissero puliti e contenti. Sedili compresi.
Leonardo Schiavone

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