IL CORONAVIRUS HA FATTO ANCHE COSE BUONE?
- 07 marzo 2020 Cronaca
In questo inizio del 2020 si sta peggio, senz’altro dal punto di vista affettivo, per le vite perdute, ed economico; eppure, nel suo tragico passaggio, anche l'epidemia sta lasciando tracce di buono
Fermi
tutti. Il virus ci ha impallati dentro un’inquadratura in cui non
riconosciamo più i noi di ‘prima’. Passata la nottata, difficile tutto
si rischiari per ripartire esattamente dal punto in cui c’eravamo
lasciati. Si starà peggio, senz’altro dal punto di vista affettivo, per
le vite perdute, ed economico; eppure, nel suo tragico passaggio, anche
il coronavirus sta lasciando tracce di buono.
ARIA
PURA - Dove prova ad arrivare con fatica il movimento ambientalista, il
corovinarus sembra essere riuscito in poche settimane. In Cina, i
satelliti della Nasa certificano un calo significativo di inquinamento
da diossido di azoto e un generale miglioramento dell’aria dovuto alle
restrizioni contro l’epidemia.
E anche
a Milano e in Lombardia, le aree più colpite dal contagio, i profumi
della primavera sovrastano in modo insolito il tradizionale fetore
dell’aria. Le centraline dell’Arpa,
l’azienda che ‘misura’ lo smog, registrano di continuo concentrazioni
di polveri sottili molto al di sotto del solito, dopo uno degli inverni
più inquinati degli ultimi anni.
LAVORARE
DA CASA - Telelavoro. Gli è sempre mancata la pista di decollo. C’era
prima, ma sempre come possibilità, mai come scelta convinta da parte
delle aziende, indecise se lasciare ai lavoratori questo spazio di
libertà, così lontano dalla cultura italiana del lavoro.
“Nei
giorni del coronavirus - ha osservato il sociologo Domenico De Masi - è
un angolo di salvezza e ci si accorgerà che, da casa, si potranno fare
più cose in meno tempo”. La viceministra dell’Economia, Laura Castelli,
ha auspicato che questa soluzione adottata per limitare il contagio,
“venga resa un domani forma stabile, coi molti benefici che porta ai
cittadini lavoratori: risparmi in termini economici, ambientali,
miglioramento della qualità della vita”.
GIUSTIZIA
TELEMATICA - Eliminare gli immani faldoni che popolano i tribunali,
salvare la giustizia da un accumulo di scartoffie che la rendono ancora
più ingarbugliata di quella che è. Un tentativo che si porta avanti da
anni, con alterne fortuna e tante resistenze, anche da parte dei
magistrati. E ora, con l’impellenza di evitare contatti umani,
finalmente il ‘via libera’.
“Siamo
di fronte a un caso di eterogenesi dei fini - osserva Matteo Picotti,
avvocato rappresentante della Camera Penale di Milano - in questi
giorni, anche in ambito penale dove prima era un’opzione quasi
inesistente, la procura ci obbliga al deposito telematico degli atti,
visto che le cancellerie sono chiuse per evitare contatti pericolosi”.
In tutti i palazzi di giustizia italiani toccati dall’emergenza sta
andando così: la carta improvvisamente non è più necessaria. A
dimostrazione che prima non c’era la volontà di farne a meno.
CONSAPEVOI
DELLA FRAGILITÀ - “C’era questa idea - considera il sociologo
dell’Università Statale di Milano, Paolo Natale - che il mondo seguisse
un costante processo verso la quasi immortalità. A farlo pensare la
fiducia nella medicina che fa passi da gigante, l’età media che si alza,
le malattie che si sconfiggono, oltre alla generale rimozione del
concetto di morte. Ora ci rendiamo conto che non è così scontato, basta
un elemento imperscrutabile come un virus a farci traballare. Questo ci
deve far riflettere anche rispetto ai mali che potrebbero arrivare in
futuro per lo scarso rispetto verso la natura. Potrebbe succedere in un
periodo ancora lontano, ma intanto ci siamo resi conto che non siamo
pronti a fronteggiarli”.
Anche
qui il sociologo scova una nota di speranza: “Rispetto alla gestione
del coronavirus, possiamo dire che politica non ha fornito una prova di
grande unità, con polemiche evitabili, ma ho visto coesione nelle
comunità, sia tra gli abitanti della ‘zona rossa’ sia a Milano, a parte i
primi momenti di smarrimento”. A Codogno e negli altri
comuni più in difficoltà, i giovani si sono prodigati per portare la
spesa e aiutare gli anziani, i più spaventati. Sono arrivati regali e
aiuti di tutti i tipi e da tutta Italia, dalla pasta fatta in casa dalla
Calabria agli zoccoli prodotti da una ditta padovana per gli
indistruttibili medici e infermieri dell’ospedale di Codogno. E se
fosse stato proprio riconoscere la nostra fragilità a farci stare
vicini?
LA
RISCOPERTA DEL CORPO - L’ordine digitale ha comportato una progressiva
scomparsa del corpo, come se fosse ridotto a un dito con cui pigiare
tasti. Ed ecco che il coronavirus ci ricorda due cose: che siano fatti
prima di carne e poi di password e che dobbiamo recuperare le antiche
regole dei nonni, come lavarsi le mani, non starnutire in faccia alle
persone e tossire nell'incavo del gomito. L’impossibilità di poterci
abbracciare e baciare, addirittura sancita dalle istituzioni, sottolinea
quanto sia decisivo poterlo fare proprio perché ora non possiamo più.
Risuonano
le parole del filosofo coreano Byung-Chul Han nel suo testo
‘L’espulsione dell’Altro’: “La rete si trasforma oggi in un particolare
spazio di risonanza, in una camera di risonanza dalla quale è eliminata
ogni alterità. La vera risonanza presuppone la vicinanza dell’Altro”.
Ora che tanti paesi del mondo ci respingono come ‘infetti’, questo
concetto potrebbe risultare più chiaro.