La New York immaginaria di Ed McBain
- 21 gennaio 2018 Cronaca
La
città nella quale l’87° distretto ha sede ed opera, è simile a New York dalla
quale si distingue per la diversa dislocazione dei suoi quartieri e delle sue
strade, ma che nonostante tutto i lettori finiscono per identificare con la
Grande Mela. La spiegazione fornita da Ed McBain sulla sua scelta di non dare
un nome - quel nome in particolare - alla città dei romanzi e dei racconti con
l’87° è la seguente: “Quando ho cominciato a scrivere il primo 87° mi sono
trovato a telefonare ogni dieci minuti ai poliziotti per controllare un
particolare o l’altro. E il mio impegno era di scrivere tre romanzi. Sarà un
grosso guaio/, mi sono detto. / Rischio di passare più tempo al telefono che
alla macchina per scrivere/. Così mi sono detto: / Dovrò farne una città
immaginaria/”.
La spiegazione data dallo scrittore è certamente plausibile, sebbene risulti
difficile riuscire a credere che nei suoi romanzi - soltanto perché la sua era
una città immaginaria - McBain potesse permettersi molte libertà. In realtà il
modello operativo della sua polizia scientifica è rigorosamente autentico, e
ogni particolare descritto è attinente a quello reale. Se cioè l’indagine
investigativa è verosimile con quella reale, l’indagine tecnico-scientifica è
invece perfettamente aderente con quella esercitata dal laboratorio scientifico
della autentica polizia. Forse nella sua scelta di creare una città immaginaria
era entrata in gioco proprio la possibilità di giocare con questa città
partorita dalla sua fervida immaginazione e poterla così dotare di una sua
storia personale scollegata da quella autentica di New York alla quale in gran
parte si era ispirato. L’Autore con la sua città sembra avere un rapporto
ambivalente. Da una parte la ama, dall’altra la odia (a seconda di quale suo
personaggio fa entrare in gioco). A volte la dipinge bellissima, quasi
intingendo la penna nei magici colori delle pellicole degli anni ’50, altre
volte i colori usati sono quelli cupi, foschi del dark più tragicamente
intenso, della degradazione ambientale conseguenza diretta di quella umana: il
nero della disperazione, il grigio delle disillusioni, il viola della
maledizione che si abbatte su coloro che hanno avuto la sfortuna di trovarsi
immersi in situazioni disdicevoli o di essere nati con un animo indisposto
verso valori fondamentali quali l’onestà, il rispetto per gli altri e per la
propria famiglia e - da qui - per la famiglia più grande che la Società
rappresenta. Nonostante ciò questo sentimento di amore-odio è pur sempre un
rapporto di affetto nei riguardi della città che gli ha dato i natali - la New
York originaria - ridipinta e trasfigurata nella Città immaginaria.
C’è un altro famoso scrittore di polizieschi che con la sua città: New York, ha
un rapporto ambivalente. Mickey Spillane. Questi la descrive spesso come una
città violenta, cattiva (la Big Bad City di McBain), sporca e senza mezze
misure né mezze stagioni, e cioè: grigia, crudele, resa perennemente fradicia
dalla pioggia insistente o arsa dalla calura estiva.
In lui non sembrano esistere che gli estremi, quasi che la descrizione della città sia ostentatamente virile come il suo macho personaggio alter ego: l’investigatore privato Mike Hammer.
Invece McBain descrive la città con un linguaggio più morbido, più dolce, più autenticamente commosso e commovente. La sua sensibilità viene allo scoperto come la linfa di un albero privata della sua dura corteccia, perché lui è autenticamente innamorato della sua città (reale o immaginaria che sia) così come si può essere innamorati di una donna. Ed è quando si è innamorati che – se si è particolarmente sensibili – la nostra anima viene allo scoperto cercando dalla persona amata tenerezza e dolcezza da scambiarsi reciprocamente. La città di McBain, la città dove l’87° si muove con la cautela di una pedina su una scacchiera i cui quadrati possono talvolta celare trappole mortalmente efficienti è una città che seppur pericolosa, seppur talvolta ben poco vivibile possiede però lo spazio per l’amore che il suo Autore sa così sapientemente infondere e descrivere in deliziosi quadretti che rimandano alla miglior sophisticated comedy della tradizione americana.È una città dove, nonostante tutto, c’è ancora spazio per la speranza. Una speranza di vita innanzitutto, e di vita migliore soprattutto, che sembra intravedersi nello sguardo innamorato e nel sorriso fiducioso di una persona amata, o nella luce limpida di un’aurora o di un tramonto, di una giornata di vento o di pioggia leggera e fresca e inebriante che sembra voler spazzare e ripulire l’anima da tutte le impurità depositate.
Antonio Mecca