LA MIA PRIMA ESPERIENZA CON DUE RAGAZZE RICHIEDENTI ASILO

Mi sono presentata, e la ragazza che mi ha aperto mi ha detto il suo nome, che solo dopo capisco. Arrivo in punta di piedi: non so come mi accoglieranno. Infatti la ragazza che mi apre è seria, non mi invita a entrare, lo devo fare da sola. Bussa all'altra che è ancora a letto, con una Bibbia sulle gambe: sta pregando. Eppure lo sapevano che andavo e l'ora l'avevano decisa loro, insieme alla mia amica che le ospita generosamente in questo bilocale, penso, ma sorrido e mi siedo nella stanza che fa loro da cucina e soggiorno.
'Endurance'. Mentre va a lavarsi la faccia (si deve essere appena alzata), penso che i tempi africani sono africani anche quando queste persone cambiano continente. Deve essere difficile anche questo. Penso poi al freddo che ha avvolto Milano in questi giorni, improvviso e tagliente dopo un'estate particolarmente lunga. Loro, nigeriana Endurance, congolese Rita, dovranno abituarsi anche a questo...
Arriva Rita, è sorridente, loquace, contenta che io parli francese e inglese e possa comunicare con entrambe facilmente. Si siedono al tavolo davanti a me. Ho portato una cartina di Milano, spiego loro dove vivo, dove sono loro e mi faccio dire dove vanno a scuola di italiano: in due luoghi diversi, in direzione opposta l'uno rispetto all'altro. Ho timore a fare loro troppe domande, anche se ne avrei molte in testa, ma lascio che vengano fuori spontaneamente.
Vorrei ne facessero loro a me, ma non è così. Così alterno notizie su di me, i miei figli, mio marito morto tanti anni fa... a domande sulla loro famiglia. Rita mi dice di avere 30 anni e due bambini di 8 e 10 anni in Congo. Endurance è poco più grande, anche se non sembra, e non ha figli.
Delle loro famiglie non sembra vogliano parlare. Mi dicono invece di essere arrivate entrambe in Sicilia, dalla Libia, tra giugno e luglio. Se lo ricordano bene quel giorno, non porgo domande su come siano arrivate, per ora.
Ci soffermiamo sulle parole che non conoscono: i mesi, i giorni... prendono spontaneamente un quaderno e Rita mi mostra il suo libro di italiano per stranieri. Endurance scrive i mesi, fa fatica con alcuni suoni, con le doppie ad esempio, e spesso devo correggerla... Rita è curiosa, ha una lista di frasi idiomatiche in francese (che parla meglio di quanto scriva) che vuole sapere come si traducano in italiano.
Quello che mi piace è che sono tutte espressioni gentili e che voglia, anche in italiano, riprodurre questa gentilezza. “Per favore, prego, grazie, scusi...”.
Penso a Papa Francesco che ha tanto insistito su queste parole che i nostri ragazzi, e sempre più spesso anche gli adulti, non usano quasi più. Rita non ha sentito i discorsi del Papa; questo bisogno ce l'ha dentro, innato, o le viene da una buona educazione che sottolinea che nulla arriva per caso e che dobbiamo essere grati e gentili col nostro prossimo.
Endurance va dietro alla sua compagna e scrive anche lei; la curiosità di Rita le servirà da stimolo, perché mi sembra più pigra, più apatica.
Parliamo della loro scuola d’italiano, qui a Milano: le classi sono troppo numerose, piene di persone provenienti da tanti paesi diversi e i loro insegnanti concedono solo una domanda a testa per non 'impazzire'! Così non resta spazio per le loro esigenze linguistiche; il loro è un corso base, di più non possono fare. Rita è contenta quindi di questa opportunità con me, e, quando chiedo loro se la volta successiva vogliono uscire e fare qualcosa fuori, mi dicono subito di no, che vogliono fare ancora 'lezione' come oggi.
Endurance si è 'sciolta', non ha più quello sguardo serio e diffidente con cui mi ha accolto. Sorride. Sono contenta, il suo nome vuol dire 'resistenza, pazienza, tolleranza, sopportazione': le porterà bene. Le servirà. Si prevede che resterà a lungo qui da noi, assistita come Rita dalla Caritas di Milano.
“Cosa farete oggi pomeriggio?”. “Laveremo i nostri vestiti”, mi dice nel suo pasticciato inglese. Sorride e mi accompagna con Rita alla porta, ma prima entrambe vogliono darmi il loro numero di cellulare e scrivere il mio. Ho fatto strike, grazie a Dio!

“A venerdì prossimo, ragazze.”


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