È ORA, FRATELLO 16 - di Yari Lepre Marrani

Era stato tutto così tragicamente realistico, vivido, acuto che quando mi ritrovai ad aprir gli occhi sulla vita pensavo che in realtà fossi già morto e non al sicuro, nella mia stanza. Mi alzai, mi sedetti sul bordo del materasso mentre Susan era chiusa nel bagno. Ancora sentivo le grida di quella folla contro di me, maledirmi e inveire per la mia morte. Era notte fonda e, riprendendomi da quell’orrore, sul letto, guardai il mio comodino e capii cosa doveva avermi prodotto quella pazzesca allucinazione, perché non si può usare un differente aggettivo quando senti la morte così viva di fronte a te e…stai solo sognando e sei in un delirio allucinatorio. La mia abitudine a farmi e bucarmi verso sera tardi la dovevo cambiare. Di giorno non mi era mai capitato di abusare di sostanze, di drogarmi beato per poi cadere nell’incubo della follia, del dolore, della morte. Pazzesco!! Forse…dovevo andarci piano con quella roba, con quelle sostanze, con le pasticche. E anche Susan. Guardai il comodino accanto al letto. C’era di tutto, ecstasy, anfetamine, mescalina, LSD e una siringa ancora gocciolante accanto al laccio emostatico. Non mi ero ripreso del tutto, ero ancora in balia dell’ossessione. Era stato tutto così tremendamente vivido e vivace e colorito nella sua infamia. 
Gradualmente mi stavo riprendendo anche se mi sentivo ancora agganciato a quel carro con i lacci in quel brullo paesaggio medioevale, immerso in quella fosca campagna sotto quel cupo cielo saettante. Ma mi stavo riprendendo e, alzandomi, vidi sul tavolino accanto al pc un altro laccio emostatico vicino ad alcune siringhe nuove, sigillate. No, no, dovevo calmarmi con questa roba ma quando ti droghi le tue giornate trascorrono tra lo sballo, l’estasi e la loro assenza. Ti senti com’ero io nell’incubo, in balia dei carnefici che ti avvinghiano eliminando ogni tua libertà, sino a che ti massacrano. E quella notte, prima dell’incubo o allucinazione che sia, mi ero fatto sia con l’ecstasy che con l’LSD, un mix che si era rivelato infernale. Guardai fuori dalla finestra e vidi palazzi e case silenti e strade illuminate e deserte, tutti sotto l’attento occhio della luna circondata da piccole stelle. Ebbi un soprassalto di rabbia selvaggia, la stessa che la folla della mostruosa visione aveva contro di me e con la mano gettai a terra, sul parquet, tutta quella roba che mi aveva fatto impazzire di dolore e che se ne stava tranquilla sul mio comodino, tutta roba letale che dovevo eliminare dalla mia vita ma che, già sapevo, non sarei riuscito a farlo. “All’inferno!!” dissi avvilito e mi avvicinai al bagno. “Ehi, ci sei?!” mi disse Susan da dentro con la voce già fortemente alterata. Anche Susan non scherzava con quella roba e adesso era in bagno che se ne faceva altra. Poveretta, pensai, senza saper cosa dire e pensare di me, ch’ero peggio di lei. I buchi sulle mie braccia lo dimostravano. Non le risposi ma aprii la porta del bagno, non si era chiusa a chiave. Non si accorse nemmeno che avevo aperto la porta. Sbirciai dentro e la vidi appoggiata alla vasca da bagno prossima a bucarsi con la siringa in mano e dallo specchio di fronte ne vidi gli occhi già arrossati, circonfusi da un penoso colore bluastro. Povera Susan…ma io ero peggio di lei. Aveva già il laccio emostatico legato al braccio. E non mi sentiva o vedeva, mentre la osservavo, immersa com’era nell’estasi della droga più potente e devastante. No, ancora non mi ero ripreso del tutto e quando vidi Susan in quella condizione, come tutti i giorni, pensai di fermarla ma tanto non sarebbe servito a nulla: sia io che lei eravamo due drogati. Due drogati dannati dalla società. Una coppia perfetta per un’imperfetta vita. L’allucinazione visionaria che avevo avuto era stata frutto di quel satanico mix di sostanze che mi ero ingurgitato e dell’eroina che mi ero iniettato. Un doloroso mal di testa, improvviso, mi colse mentre, delicatamente per non esser scoperto, richiudevo la porta del bagno lasciando Susan al suo destino che poi era anche il mio. Non mi era mai capitato di precipitare in una psicosi così atroce e quel mal di testa…il cervello nel pallone…le vertigini…il terrore della morte ancora pulsante in me erano il finale bombardamento con il quale quell’incubo (o come lo si voglia chiamare) continuava a perseguitarmi nelle mute stanze di casa mia. 

continua

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