LA RIAPERTURA E IL RUOLO DEL SINDACATO

Guardare avanti e non indietro

Bella intervista di Landini sul Corriere di oggi: conferma di essere uno dei pochissimi leader sindacali capaci quanto meno di porsi il problema di una strategia che vada al di là dell'hic et nunc! Riconosciuto a Maurizio ciò che è di Maurizio, mi sembra utile mettere a fuoco alcuni dei passaggi dell'intervista che danno informazioni circa i contenuti della strategia che la CGIL ha in mente per il dopo Covid.
Il filo conduttore è la convinzione che nulla potrà più essere come prima, e che dunque la politica economica, il sistema produttivo e l'organizzazione sociale che le integrano vadano ripensati ex novo, con un forte atto di volontà politica.
Di questa nuova organizzazione sociale ed economica Landini delinea anche i tratti salienti: “nuovi modelli di vita e di lavoro al centro dei quali non ci siano profitto e mercato...”. Mi pare una visione messianica in cui la catastrofe sanitaria può essere levatrice di una società “nuova”. Ricorda da vicino l'approccio del socialismo massimalista alla catastrofe della prima guerra mondiale: ma non andò a finire bene... Direi che la CGIL raccoglie (o se preferite non riesce ad abbandonare) il millenarismo della tradizione marxista ortodossa ma anche di alcune versioni del cristianesimo sociale. Un ruolo certamente dignitoso e in qualche modo “nobile” ma che può suscitare parecchie diffidenze alla luce dell'esperienza storica, e soprattutto occorrerebbe un po' più di precisione sulle caratteristiche dei “nuovi modelli di vita e di lavoro”: se è una proposta seria i contenuti devono essere chiari e non declinati in termini di desiderabilità etico-ideologica.
Landini non la nomina mai, ma è evidente che lo strumento attraverso cui la volontà politica dovrebbe realizzare la palingenesi economico-sociale è la politica di piano. Interrogato circa la desiderabilità di una nuova IRI, lui dice qualcosa di più: una “agenzia nazionale per lo sviluppo... per indirizzare gli investimenti...”. Questo almeno chiarisce che la politica di investimenti, da portare sotto il controllo dallo Stato, dovrà adeguarsi agli orientamenti della politica e non alle richieste di mercato; tutto ciò sulla base “di un'idea di Paese”. Chi partorirà quest'idea e chi ne declinerà la realizzazione concreta non è chiaro, come in tutte le visioni millenariste. E ciò è un po' inquietante...
Infine Landini scende nel concreto con alcune affermazioni condivisibili sulle modalità di riapertura delle imprese: affidarsi ad accordi aziendali sul modello FCA per determinare le condizioni di sicurezza necessarie a riprendere la produzione, riorganizzare di conseguenza il sistema del trasporto pubblico e dei servizi in genere.
Aggiunge però una condizione per l'erogazione di liquidità alle aziende in crisi: l'impegno a non licenziare. Richiesta legittima (e del resto già garantita dal Decreto Cura Italia) se riferita alla durata della crisi; difficilmente ricevibile se proiettata in tempi più lunghi, per ovvie ragioni. Colpisce il fatto che, dopo aver parlato di un nuovo modello di produzione e di società, Landini rispolveri la più vetusta delle forme di tutela dell'occupazione: l'imponibile di mano d'opera. Nel “nuovo modello di produzione” cosa può far pensare che il capitale umano debba rimanere invariato e ingessato quando tutti gli input della produzione cambiano?
Ho l'impressione che dietro questa rivendicazione ci sia l'idea che il “nuovo modello” debba differire da quello vecchio soltanto per la consistenza di tutele normative e (suppongo) economiche in favore del lavoro trascurando i cambiamenti che investiranno le modalità di lavorare, i rapporti tra impresa e capitale umano, il sistema delle relazioni industriali, il ruolo e il modus operandi del Sindacato, il mercato del lavoro. Un sindacato che non scegliesse di partecipare alla gestione di questi processi, o si trincerasse dietro un illusorio ruolo di difesa dei lavoratori dalle novità, sarebbe bypassato dalla realtà e si condannerebbe a una marginalità peggiore di quella che già sta vivendo. Paradossalmente si troverebbe a rivendicare proprio quella situazione ante covid che lo stesso Landini avvisa che non potrà mai tornare.
È giusto finalizzare l'erogazione di liquidità a qualcosa che non sia soltanto il (comunque necessario) risanamento dei conti delle imprese, ma occorre rendersi conto che il primissimo obiettivo che il sistema produttivo dovrà perseguire è quello di recuperare la competitività persa sui mercati, senza di che avremo un disastro occupazionale, che le nazionalizzazioni amate dalle CGIL e da tanta sinistra politica potrebbero soltanto mitigare parzialmente con un bazooka di spesa assistenziale (che qualcuno dovrà pagare...). E quest'obiettivo è perseguibile soltanto se saremo capaci di incrementare in modo significativo la produttività delle imprese, stagnante da circa 20 anni e drammaticamente inferiore a quella delle economie europee, e del sistema–paese nel suo complesso. Se tutti coloro che hanno voce in capitolo saranno capaci di assumere e condividere questo punto di vista e agire di conseguenza potremmo uscirne abbastanza bene, senza bisogno di sostituire profitto e mercato con leggendarie società frutto di visioni profetiche!

A cura di CN

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