TRASFERTA AMERICANA 8

La città si preparava a fornire i pasti di mezzogiorno perché l'ora di pranzo stava per scoccare.

Tenendo bene a mente il percorso effettuato uscendo dall’hotel mi allontanai affiancando altri edifici, quasi la replica seppur aggiornata delle antiche e rozze costruzioni messicane costituenti il villaggio che due secoli prima Nuestra Senora de Los Angeles era stata. Il tutto pur non essendo granché attraente trasmetteva ugualmente un certo fascino. Era il fascino, forse, tramandatoci dagli innumerevoli film e telefilm prodotti e distribuiti nel corso degli anni, e alla sensazione di libertà che quel grande Paese - ma libero solo in parte - riusciva a dare e a stimolare. Non lontano dall’hotel Sunshine si trovavano alcuni taxi. Decisi di fare un tentativo anche lì. Mi avvicinai al primo della fila, e sorridendo all'autista: una donna sulla quarantina, bionda e niente affatto male, nel mostrarle la foto dello scomparso le chiesi se per caso se lo ricordava, e dove poteva averlo eventualmente condotto. Ma lei non ricordava proprio di averlo visto, per cui non poté dirmi nulla al riguardo. Allora risalii la fila per avere modo di parlare anche con altri suoi colleghi. 

Anche qui NDS: nulla da segnalare. Non mi restò quindi che tornare al primo taxi della fila, salirvi, e dire all'autista di portarmi a Santa Monica. Al che lei azzerò il tassametro e partì.

Osservai il panorama scorrere ai lati del finestrino, la freeway imboccata che sopraelevata com'era permetteva di ammirare la metropoli dall'alto nonché di procedere a velocità sostenuta. In meno di un'ora eravamo giunti a destinazione. Pagai la corsa, aggiunsi una mancia adeguata, dopodiché presi a passeggiare per la Bay City di Chandleriana memoria, che il grande scrittore americano aveva descritto in alcuni romanzi e in diversi racconti dei quali uno intitolato proprio “Bay City Blues”, protagonista il mio simpatico collega John Dalmas.

Mi diressi verso il porto. L'aria salmastra sostituì quella ammorbata dallo smog della Città degli Angeli decaduti, il vento di libeccio gonfiava le vele delle imbarcazioni all'attracco e le faceva dondolare come grandi culle prive di neonati come l'Italia si è andata trasformando. All'orizzonte si notava la costa opposta e le case lontane simili a puntolini ancora non accesi, a gioielli intagliati privi di faretti che li illuminassero adeguatamente nella grande vetrina della notte di velluto. Mi chiesi cosa ci fossi venuto a fare in quel luogo. Mi chiesi anche perché avessi accettato di svolgere quell’indagine. Non sapevo dove Santini si fosse diretto, e se non solo, con chi e perché. Non potevo girare con la sua foto all'occhiello indicandola ai passanti, o ai locatari dei negozi. Tutt'al più nei ristoranti, in primis quelli italiani, perché era in questi ultimi che l’uomo avrebbe probabilmente pranzato. Per cui effettuai il giro dei ristoranti dalla cucina italiana, aspettando che aprissero al pubblico perché mancava più di mezz'ora a mezzogiorno. Dopodiché feci il mio ingresso nel primo che incrociai e dopo i convenevoli di rito mostrai la foto del fratello del mio cliente per chiedere se ricordavano di averlo visto. Aggiunsi che con ogni probabilità quell'uomo era stato solo, e non si esprimeva in inglese correttamente.

Dal primo al quale mi rivolsi non ottenni informazione alcuna, e così dal secondo, a pochi passi dal primo. 

Fu con il sesto, dal primo distante cinquecento metri, che ottenni una risposta affermativa.

- Sì. Me lo ricordo.

A parlare era stato un cameriere italiano sulla sessantina, di media statura, occhi scuri e capelli che lo erano stati, perché ora erano sulla via senza ritorno del bianco integrale.

- È stato qui all'incirca due settimane fa. Abbiamo parlato in italiano, visto che soprattutto lui ci teneva.

- Era solo?

- Sì. Ha ordinato un piatto di spaghetti alle vongole, che ha consumato con evidente piacere. E posso capirlo: la cucina autoctona non è l'ideale per i nostri palati.

- Di cosa avete parlato, oltre alle vongole: anche di eventuali cozze a due zampe di sesso femminile?

- No. Lui era interessato non al reale ma all'irreale, vale a dire agli eroi fittizi della letteratura poliziesca, alla

California di… Chandler. Sì: Chandler. Era un appassionato di questo scrittore. 

- Le ha fatto qualche confidenza?

- Mi ha solo detto che aveva iniziato ad interessarsi alla California dopo avere letto i racconti e i romanzi di

questo Chandler. E che da molto tempo ormai desiderava recarsi qui, nella California meridionale, a visitare

 Los Angeles e luoghi circostanti, e che finalmente ci era riuscito, alle soglie della vecchiaia.

- Dopo avere finito di pranzare, sa dove si sarebbe diretto?

- So che intendeva recarsi a San Diego, Santa Barbara, Malibu.

La gente cominciava ad affluire nel ristorante, per cui decisi già che mi ci trovavo di restare a mia volta per pranzare. Così sedetti a un tavolino con tovaglia di tela a scacchi bianchi e rossi, emblema della semplice e gustosa cucina italiana, e ordinai la medesima pietanza ordinata da Santini, sperando non fosse la stessa magari avanzata due settimane addietro. Il cameriere cominciò col mettermi davanti il tradizionale bicchiere di acqua ghiacciata, che io vuotai per metà. Poi una cameriera che era una ragazza giovane e carina oltremodo e anche ammodo, mi sorrise e dopo essersi avvicinata a portata di orecchio si informò se già avevano raccolto la mia ordinazione.

- Sì - la rassicurai. Quindi tolsi la foto di Santini e la mostrai anche a lei. - Lo riconosce? - le chiesi in inglese visto che lei pareva essere americana.

La ragazza fissò l'uomo ritratto.

- È stato qui due settimane fa, solo e italiano come me ma non parlava inglese come io so fare e sorrise, e fu un bel sorriso.

- Non ho avuto modo di parlare con lui, anche perché a parlare con lui è stato Pietro, il mio collega. Lui è

italiano, e quindi capisce l'italiano.

- Anch’io capisco l'italiano, sebbene non comprenda gli italiani.

Lei , continuò a sorridere. Poi si allontanò, mettendo in mostra una carrozzeria di tutto rispetto che era però impossibile rispettare per più di tanto. Pensai a Santini, e ai probabili sguardi che doveva avere scambiato con lei, sguardi allegri da parte della ragazza perché giovane e bella, e leggermente tristi i suoi perché ormai anziano e non bello. Gli spaghetti arrivarono, invitanti allo sguardo ma un po’ meno al palato, perché i molluschi avevano un che di amarognolo che in Italia invece non hanno.

Li mandai giù aiutato anche da generosi sorsi di birra chiara ordinata poco prima. 

La ragazza si avvicinò per ritirare il piatto vuoto.

- Good? - chiese con un sorriso che “good” lo era da par suo.

- Very - aggiunsi. - Come ti chiami?

- Johanna. And you?

Glielo dissi.

- È un bel nome.

- A qualcuno piace... Caldo – replicai. E tutto finì lì. Mi alzai, salutai Johanna e Pietro, e mi allontanai a piedi così come a piedi ero arrivato e come anche Marco Santini probabilmente.



Antonio Mecca

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