L'ADDIO DEL TAMIGI ALLA UE, LA TRISTEZZA DI UN BILANCIO

di Folco Portinari*

Montpellier square è una deliziosa piazzetta londinese, tranquilla ed elegante, fascino intatto al passare dei secoli, a 200 metri dalla caotica Brompton road, famosa per i grandi magazzini Harrods. Al numero 15 di Montpellier Square il primo gennaio 1973 viveva Lord Anthony Barber, il Cancelliere dello Scacchiere (Ministro dell'economia) che firmò l'ingresso della Gran Bretagna nell'allora Comunità economica europea.
Con la netta vittoria del conservatore Boris Johnson alle elezioni politiche dello scorso 11 dicembre, la dibattuta uscita della Gran Bretagna da quella che nel frattempo è diventata UE (Unione Europea) si è concretizzata breve.
È quindi durata 47 anni l'avventura della democrazia più antica del mondo -non indenne dai problemi di instabilità politica che attanagliano le società occidentali- in quello straordinario tentativo che è la UE di seppellire per sempre due millenni di lotte, guerre, morti e sofferenze.
Un ingresso sofferto
Londra esce, dopo che tanta fatica aveva fatto per entrare, e dopo che il suo ingresso era rimasto in realtà incompleto. La seconda economia dell'Europa con la sua blasonata sterlina era infatti rimasta spettatrice dell'avventura dell'euro.
Ma anche l'ingresso non era stato indolore. Il primo governo britannico a fare domanda di adesione, a quattro anni dai Trattati di Roma, fu quello guidato dal conservatore Harold Macmillan nel 1961. Con Londra, fecero domanda Danimarca, Irlanda e Norvegia (quest'ultima nel '62). A mettersi di traverso fu però il presidente francese Charles de Gaulle, con motivazioni deboli sulle reali intenzioni dei britannici di credere nel progetto europeo. Stesso copione nel '67, con un secondo no francese. Con il successore di de Gaulle, Georges Pompidou, nel 1969 il veto francese cadde e partirono i negoziati per l'adesione dei tre Paesi del Nord Europa. Tre, perché nel frattempo un referendum preventivo aveva fatto si che la Norvegia rimanesse fuori dal processo di allargamento.
1975, il primo referendum sull'Europa
Quello del 2016 voluto dall'allora premier David Cameron (vinto dai brexisti appunto) non fu però il primo referendum sulle sponde del Tamigi con oggetto il mantenimento o meno dello status di Paese membro della Comunità Europa.
Nel 1975, due anni dopo l'ingresso, i Britains furono chiamati a rispondere al quesito "Do you think that the United Kingdom should stay in the European Community (the Common Market?" (Pensi che il Regno Unito debba stare nella Comunità europea (il Mercato Comune)?")
Nel 1975 vinsero i si, con il 67,2%. 41 anni dopo sarebbe andata diversamente, come ben sappiamo. E ora 64,5 milioni di britannici non sono più cittadini europei: la popolazione della UE scende sotto i 450 milioni, e il prodotto interno lordo dell'Europa si contrarrà del 16-17%.
Per andare a Londra dovremmo ritirare fuori i passaporti, e più in generale le quattro libertà fondamentali che sono alla base del progetto europeo saranno incrinate nei rapporti con il Regno Unito: le libertà di circolazione di merci, persone, capitali e servizi.
Per chi è cresciuto con la sensazione che l'Europa potesse solo crescere, e per chi ha conosciuto gli orrori della guerra accogliendo l'Europa -via via che andava definendosi- come un sogno diventato realtà, è un brutto risveglio.
Il Tamigi, Buckingham Palace e il Tower Bridge non si sposteranno. Ma dal primo febbraio 2020 sonno un bel po' più lontani.

*Un attento osservatore dei fatti economici dei nostri tempi si cela dietro i il nom de plume del banchiere fiorentino del XIII secolo, padre di Beatrice, musa ispiratrice di Dante Alighieri.

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